…terrorismi

Sono arrivati a bordo della loro Skoda Octavia, 1900 cc. diesel, probabilmente di seconda mano, i terroristi palestinesi di Har Nof. Uno dei due lavorava in un negozio del quartiere. Presumibilmente parlava un po’ l’ebraico e magari il giorno prima qualche avventore gli aveva detto sbadatamente shalom o chiesto l’ubicazione di un prodotto su uno scaffale. L’attentatore palestinese che lo scorso mese ha gravemente ferito l’attivista Yehuda Glick, lavorava al ristorante del Centro Begin, un moderno istituto culturale serio e orientato a destra, dove lo stesso Glick aveva appena partecipato a una riunione. Evidentemente anche costui doveva parlare un ebraico per lo meno discreto e si muoveva agevolmente tra la caffetteria e la sala internet spesso molto affollate dell’elegante edificio. Questi e altri rappresentanti del nuovo terrorismo palestinese non sono degli emarginati che vivono in casupole non intonacate a Gaza, o in campi profughi coi sentieri di fango alla periferia delle città della Cisgiordania, bensì persone con un reddito abbastanza regolare, un’abitazione a Gerusalemme, un’auto in discrete condizioni, a volte moglie e figli. Hanno frequenti occasioni di incontrare ebrei israeliani e i rapporti in questi casi sono generalmente corretti. Un giorno improvvisamente, si alzano e vanno a compiere un massacro – evidentemente sobillati da qualcuno, a volte finanziati da qualcuno, o con il supporto logistico di qualcuno. La distinzione che molti cercano di fare fra una guerra di religione (brutta?) e una guerra di etnie (bella?) è totalmente irrilevante. Di guerra certamente si tratta, anche se in questo caso e per ora è combattuta sporadicamente da singoli. Ma qui non si tratta di far prevalere un principio teologico sopra un altro, o una bandiera e la sua cultura sopra un’altra. L’obiettivo vero e dichiarato è semplicemente danneggiare, ferire, o distruggere lo stato di Israele, il paese degli ebrei. Sulle diverse gradazioni di questa ipotesi (e le differenze fra danneggiare e distruggere sono di non poco conto) vi è un’ampia convergenza di consensi, dai sunniti del Califfato e di Al Qaeda, agli sciiti di Hezbollah e del regime sempre più nuclearizzato di Teheran, dall’Autorità Palestinese alla Turchia e al Qatar. L’Egitto, da quando è presidente el-Sisi, capisce di avere interessi molto simili a quelli di Israele e agisce di conseguenza. L’Europa e tristemente anche gli Stati Uniti fanno finta di non vedere che gli episodi di terrorismo sono delle infiltrazioni, per ora contenute, del fondamentalismo islamico rampante in tutte le sue diverse versioni e sfumature. Così l’Occidente richiama “le due parti” a “moderare i comportamenti” di fronte agli spiacevoli “eventi” in “quella terra”. Questo gigantesco fenomeno di rimozione in atto in Occidente – in presenza di scene mai viste prima di decapitazioni di massa – non può concludersi bene. Il fondamentalismo islamico non punta solamente a Israele, punta molto al di là. 

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme

(20 novembre 2014)