Qui Roma – I dilemmi dell’anno sabbatico

IMG_20141130_113512Si è aperto stamattina il seminario del Collegio Rabbinico Italiano dedicato all’anno sabbatico. Una prima sessione ricca di spunti con due rabbanim della Yeshivat Hakotel di Gerusalemme: rav Roni Klopstock, che ha analizzato il problema secondo i dettami dell’Halakha e rav Tuvia Lifshitz, il direttore della medesima Yeshivah, che si è concentrato sulla mitvah del settimo anno secondo i versi della Torah e dei Midrashim. I lavori del seminario sono dedicati al giovane soldato Evyatar Moshe Turgeman, caduto la scorsa estate durante l’Operazione Margine Protettivo e studente della Yeshivat Hakotel. Oggi pomeriggio alle 17, l’appuntamento si sposterà al Tempio dei Parioli per l’inaugurazione della sifrià in memoria di rav Yehudà Kahlon, rabbino capo di Livorno e Evyatar Moshe Turgeman. A introdurre, rav Gianfranco Di Segni, coordinatore del Collegio Rabbinico: “Il problema dell’anno sabbatico, la Shmita, un periodo che arriva ogni sette anni nel quale non si può coltivare la terra, si acuisce quando ci troviamo di fronte ad uno Stato moderno. Come fa Israele a gestirlo? Che lavoro fanno i contadini? Inoltre, come si può basare tutto sull’importazione se prezzi salgono alle stelle? Si può vendere la terra ai non ebrei, o costruire delle serre sopraelevate, ma in realtà le discussioni restano. Bisogna inoltre considerare un altro punto importante; l’anno sabbatico è anche il momento nel quale si cancellano i debiti. Un elemento ovviamente non da poco. Con l’istituzione di questa regola, molti smisero infatti di concedere prestiti in prossimità dell’anno sabbatico. Proprio per questo rav Hillel introdusse il prozbul, un prestito nel quale veniva coinvolto il Bet Din, il tribunale rabbinico, e non ricadeva più i singoli”. Rav Tuvia Lifshitz esordisce con una grande domanda: “Perché la terra deve avere un proprio Shabbat da rispettare? I motivi di cui parla la Torah – continua – sono quattro e investono il momento nel quale Moshe si trova sul Monte Sinai. Il primo riguarda il rapporto tra uomo e D-o, il secondo tra l’uomo e se stesso, il terzo tra uomo e uomo e il quarto tra l’uomo e la terra. L’uomo potrebbe infatti diventare supponente avendo una terra di proprietà e tracotante verso D-o. La Shmita gli ricorda la propria inferiorità e limita il suo egoismo. Inoltre influenza il rapporto dell’uomo con se stesso: tutto quello che possiede diventa di tutti e deve mantenere saldo il proprio autocontrollo. La Shmita permette all’uomo di non diventare schiavo della terra né del proprio lavoro. Il terzo coinvolge il rapporto dell’uomo con gli altri; l’anno sabbatico annulla infatti ogni differenza sociale e pone tutti sullo stesso piano. Un’uguaglianza anche psicologica che fa capire la relatività della ricchezza al ricco e quella della povertà al povero ed è qui che capiamo anche il legame con il Monte Sinai: quando agli ebrei fu donata la Torah, tutti erano uguali. L’anno sabbatico è quindi esemplare per capire che le mitzvoth pongono tutti gli uomini sullo stesso piano. Il quarto punto infine riguarda la terra stessa, che rispettando la Shmita, impone al mondo di rispettare una sorta di Shabbat cosmico e fa capire come la stessa terra sia particolare, perché particolare è il popolo che la abita. L’anno sabbatico segue quindi quattro punti che sono applicabili a qualsiasi mitzvah: ogni mitzvah infatti riguarda il rapporto tra uomo e D-o, uomo e se stesso, uomo e uomo e uomo e terra”. “Parlare solo di un’ora della Shmitah, l’anno sabbatico, è impossibile – spiega rav Klopstock – mi limiterò dunque a concentrarmi sull’Halakha”. “Un’Halakha molto complessa – continua – che subisce variazioni dal momento che Gerusalemme non ha più il suo Tempio e noi ci troviamo quindi ad essere impuri. Ancora oggi molti in Israele non conoscono perfettamente le modalità del prelievo, terumà, dalla raccolta. E se degli alimenti dei supermercati israeliani non dobbiamo preoccuparci (il prelievo infatti è già stato fatto), il problema si pone quando siamo ospiti da qualcuno che possiede una villa e non sappiamo se la terumà sia già stata applicata. Il caledario dei suddetti prelievi si fa lungo i 7 anni (in anni specifici del ciclo) e riguarda quattro tipologie diverse, in ricordo agli alimenti devoluti al Coen e al Levi (che a sua volta dovrà darne un proprio decimo al Coen). Il prelievo fatto durante terzo e sesto anni va infine dato ai poveri. C’è inoltre una parte del raccolto che va portata a Gerusalemme e che, se ai tempi del Beit Hamikdash andava consumata, ora deve essere buttata”. Per rendere chiaro il concetto, rav Kopstock prende quindi un centinaio di pistacchi e fa le divisioni con una conclusione: “Credetemi, è davvero molto complesso”. IMG_20141130_121734Il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, interviene con un nuovo capitolo: “Come si capisce quali sono gli alimenti maturati durante il settimo anno e quindi proibiti e quelli maturati precedentemente?” “I maestri hanno appunto dovuto istituire delle regole per evitare ‘evasioni fiscali’. C’è un momento preciso in cui gli alimenti raggiungono la Onat Amahasot, il periodo della decima. È proprio da questo che si determina l’appartenenza degli stessi: se un cereale ha raggiunto quel livello di maturazione prima del Rosh Hashana del settimo anno, quel cereale sarà permesso e viceversa. Ogni frutta e verdura hanno un loro limite particolare; il cedro ad esempio crea problemi perché fiorisce tutto l’anno. Emblematico inoltre il caso della cipolla: una cipolla maturata il settimo anno, continua poi a germogliare. Nasceranno dunque cipolle appartenenti all’ottavo anno. Il dilemma della cipolla sorge spontaneo: si potrà mangiare? E la risposta dei maestri è che sì, le quelle germogliate nell’ottavo anno potranno essere consumate. Mi preme inoltre sottolineare che ciò che nasce da un vaso senza buchi non subisce le regole dell’anno sabbatico, in quanto non è a contatto con la terra”. “A questo punto – conclude il rav – si potrebbe fare un collegamento con la fecondazione assistita. Non seguendo le regole di alcuni maestri che vedono i dettami legati ai vegetali non applicabili agli esseri umani, potremmo porci questo interrogativo: l’ovulo deve seguire la madre o appartenere alla condizione originaria? Di chi è figlio? La risposta sarà ‘della madre’ se seguiamo Rambam che diceva: ‘Quello che cresce dopo annulla quello che c’era prima’. E inoltre, pensando alla regola del vaso non bucato, cosa c’è di più chiuso della capsula che viene utilizzata per la fecondazione assistita? Inoltre l’Omat Amahasrot, il livello di maturazione di 40 giorni, coinciderebbe. Ma la questione è davvero molto discussa”.

Rachel Silvera twitter @rsilveramoked

(30 novembre 2014)