appartenenza…
La Torah ci racconta che Ya‘aqòv, rientrato nella terra dalla quale era scappato, compra i campi sui quali pianta le sue tende, alle porte della città di Shekhèm. Alcuni Maestri si sono domandati perché, visto che in quel posto si sarebbe fermato solo provvisoriamente, abbia deciso di acquistare il terreno, e non lo abbia preso in affitto o in assegnazione.
A questa domanda sono state date due risposte. Il Nachmanide spiega che Ya‘aqòv non ha voluto essere ospite neanche per un secondo sulla terra che Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ gli aveva promesso, e perciò ha voluto ufficializzare il suo possesso comprandola (come in altra occasione aveva fatto suo nonno Avrahàm). Il Ch.I.D.A., invece, dà un’altra interpretazione: siccome voleva costruire lì un altare e non voleva che in seguito glielo distruggessero, ha comprato il terreno sul quale costruirlo; invece i suoi padri, Avrahàm e Itzchàq, non hanno comprato il terreno dei loro altari perché, essendo inadatto all’agricoltura, era terreno libero, senza padroni.
La sensazione che vorrei proporre confrontando le due spiegazioni è che ci troviamo qui di fronte a due aspetti distinti e complementari caratteristici dell’essenza ebraica. Ci sono due diritti ai quali non possiamo transigere: il nostro diritto a sentire Eretz Israel come qualcosa che ci appartiene, di nostra proprietà (ed è in nome di questo diritto che i territori su cui sorge lo Stato d’Israele sono stati acquistati con moneta sonante), ed il diritto di servire Ha-Qadòsh Barùkh Hu’. Ya‘aqòv – Israel non può non incarnarli entrambi.
Elia Richetti, rabbino
(4 dicembre 2014)