K.it

tobia zeviNell’area Alitalia dell’aeroporto di New York si fanno spesso incontri interessanti. Alcune settimane fa incrocio Jacqueline Fellus, assessore alla Kasheruth dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane (UCEI), di ritorno da “Kosherfest”, un’enorme fiera dedicata all’alimentazione ebraica recentemente raccontata da “Pagine ebraiche”. In attesa dell’aereo Fellus mi racconta i progressi fatti sul marchio kosher italiano, e penso che un processo così virtuoso vada pubblicizzato.
Poco più di due anni fa cominciai a interessarmi a questo tema. Allora era solamente un’idea. In questo lasso di tempo, grazie al contributo del Ministero dello Sviluppo, l’UCEI ha registrato il marchio “K.it”, costituito la struttura operativa, verificato gli spazi di mercato, presentato l’idea agli investitori stranieri e ai produttori italiani. Un esempio di efficienza nell’ambito delle istituzioni ebraiche e anche di proficua collaborazione tra pubblico e privato.
Scrivevo su queste colonne il 22 maggio 2012 (mi si perdoni l’autocitazione): “La sicurezza alimentare è una delle sfide chiave per l’economia del futuro. L’aumento della popolazione mondiale e la conseguente pressione sulla filiera agro-alimentare obbligano a riflettere sui processi industriali, con il triplice obiettivo di accrescere la produzione, limitare i danni ambientali, garantire al consumatore la massima salubrità sulla sua tavola. (…)
Recenti sondaggi valutativi hanno spiegato come il marchio kosher venga percepito dal consumatore medio come sinonimo di sicurezza e qualità, e proprio questa impressione rende il marchio utile nella prospettiva di rilanciare i prodotti «made in Italy» sul mercato nordamericano e sui mercati internazionali in genere.
Per la comunità ebraica italiana, una piccola comunità, l’obiettivo di stabilire un percorso con il Ministero che porti alla registrazione del marchio è una grande opportunità: sul piano culturale, perché questo processo garantisce un ruolo rilevante nei confronti delle comunità estere più importanti, ma anche perché questa operazione può favorire il dialogo con i musulmani italiani; sul piano economico, perché il comparto agro-alimentare è una delle eccellenze che il nostro paese esporta nel mondo”.
Se in così poco tempo l’UCEI riuscirà a condurre il porto questo percorso si tratterà di un risultato davvero straordinario. Rispetto ad allora, se possibile, ancora più urgente: l’accordo di libero scambio in discussione tra USA e Unione europea è un’opportunità importante ma assai rischiosa per la filiera agro-alimentare italiana che si troverà a competere con i produttori americani, assai più disponibili a indulgere sulla qualità. Inserirsi in un segmento alto sarà fondamentale. Il marchio “K.it” potrà essere un tassello fondamentale di questa strategia nazionale.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas