L’Otto per mille e noi
L’Otto per Mille è un compendio triste del nostro paese. La settimana scorsa ne ho parlato relativamente ai fondi destinati all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI). Ma è inevitabile allargare lo sguardo e ragionarne a livello generale. Ci aiuta in questo senso un documento pubblico, sostanzialmente sconosciuto, di una chiarezza inimmaginabile per il burocratese a cui siamo assuefatti. Si tratta della deliberazione 16/2014/g della Corte dei Conti, Sezione generale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, depositata il 19 novembre 2014.
Nel testo troviamo un’indagine rigorosa sulla distribuzione dei fondi della quota Irpef che i contribuenti possono assegnare alle confessioni religiose o allo Stato in base alla legge 222/1985. La descrizione è talmente incredibile da assurgere talora a vera e propria letteratura. Sintetizzando, ecco le principali contraddizioni: 1) I fondi vengono calcolati sull’imponibile generale e non sulle preferenze effettivamente espresse, che sono una minoranza. I cittadini pensano di non scegliere alcuna confessione religiosa (inoptato) ma finiscono per avvantaggiare le confessioni religiose, che si spartiscono tutta la torta e non solo quella dei firmatari. 2) Lo Stato fa mostra di eroico tafazzismo impegnandosi a fondo per non prendere un euro. Non promuove campagne pubblicitarie; non spiega come spende i fondi assegnatigli; decurta le somme destinate alle finalità previste dalla legge per endemiche esigenze di cassa e tradisce così il patto con i cittadini; assegna ai comuni parte consistente delle risorse, trasferite poi alle istituzioni ecclesiastiche che in tale modo vengono beneficiate due volte. 3) Una buona quota dei denari è destinata alle campagne pubblicitarie, che danno così vita a un vero e proprio mercato della solidarietà. 4) La Chiesa cattolica, che ormai riceve più di un miliardo di euro all’anno, spende solo il 20% dei soldi per attività benefiche, circa un terzo per il sostentamento del clero previsto dalla legge, mentre la parte restante è devoluta a finalità poco chiare e comunque non normate. 5) In tempi di crisi economica, i fondi provenienti dall’Otto per mille sono in costante aumento in virtù di meccanismi fiscali tecnici come il Fiscal Drag. 6) La commissione paritetica tra Stato e CEI che dovrebbe rivedere il meccanismo ogni tre anni si riunisce poco, lavora poco ed evidentemente ha poco da dire di fronte a questo scandalo. 7) Per accedere alla ripartizione occorre aver sottoscritto un’Intesa con lo Stato. Musulmani e ortodossi, le due principali minoranze nel nostro paese, non lo hanno fatto, e sono pertanto esclusi da questa cuccagna mancando una legge sulla libertà religiosa.
Ho il rammarico, per esigenze di brevità, di non poter citare passi significativi di questo monumento alla chiarezza espositiva. Mi rendo disponibile a inviarlo a chiunque non voglia cercarselo in rete. E mi domando come sia possibile che un tale j’accuse abbia visto la luce in Italia. I tempi stanno cambiando? Un’eccezione che conferma la regola? Un incidente dei magistrati contabili? Certo è che come ebrei italiani abbiamo di che riflettere. Siamo dipendenti economicamente da questi soldi ma anche complici di un sistema perverso. E occorre pensare a una strategia.
Forse la soluzione è questa: impegniamoci fortemente ad aumentare il numero di coloro che scelgono l’UCEI, innalzando la qualità delle nostre iniziative e dei nostri progetti. Al tempo stesso, spingiamo per una rapida e profonda revisione della legge che imponga un tetto massimo ai fondi destinati, vincoli lo Stato a incrementare le sue risorse e a spenderle meglio, renda tutto il sistema più equo e trasparente. Mica facile.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi
(30 dicembre 2014)