C’era una volta il New Republic

New repubblic da PE“Riposa in pace The New Republic, meriti di più di Chris Hughes”. L’elegia funebre dell’opinionista del Washington Post Dana Milbank è lapidaria. Dopo veleni, licenziamenti e arredamenti d’interni, il centenario e storico The New Republic, la rivista liberal americana sorretta da opinionisti di indubbio spessore, fa bye bye con la manina. Cosa succede dunque a un giornale d’opinione quando gli opinionisti fanno le valigie e se ne vanno via piccati? Cosa succede quando a prendere le redini è il giovane Chris Hughes, celebre socio e antagonista del fondatore di Facebook Mark Zuckerberg? Cosa accade infine quando lo stesso Hughes chiama a fare da amministratore delegato e braccio destro Guy Vidra, ex di Yahoo? Un patatrac. La crisi del New Republic è conclamata e ha tutte le carte in regola per ispirare qualche sceneggiatore che giace molle a bordo piscina a impugnare la penna e scriverci un bel film con un nuovo Leonardo Di Caprio. Mentre i giornali americani vedono il fantasma centenario passare accanto e fanno gli scongiuri, Milbank affila le unghie e continua a raccontare la vicenda: “Quando ha comprato il magazine nel 2012 all’età di 28 anni, il co-fondatore di Facebook ha spiegato che la domanda di giornalismo di alta qualità continuava ad essere forte nel nostro paese. Ma dopo due anni, Hughes ha deciso che salvare questa forma tradizionale di giornalismo fosse troppo duro. Ha dichiarato che la rivista centenaria sarebbe diventata una compagnia tecnologia e ha portato un nuovo CEO che ha letteralmente imposto un legame osmotico tra scrittori e ingegneri per lavorare sulla componente grafica del sito. Hughes ha poi spodestato il suo partner intellettuale Franklin Foer senza nemmeno il buongusto di comunicarglielo. Foer lo ha scoperto quando il suo sostituto, un uomo che era stato precedentemente licenziato come editor del sito di gossip Gawker, ha iniziato a presentarsi come nuovo editor offrendo lavori alla gente. La maggior parte dello staff ha lasciato in segno di protesta e il team di Hughes ha sospeso la pubblicazione fino a febbraio. Ma non devono nemmeno disturbarsi nel riprendere in mano l’opera. The New Republic è morto. Chris Hughes lo ha ucciso”. Ed ecco che l’incubo che da anni punzecchia, tormenta e deride la stampa ha assunto delle fattezze nitide: The New Repulic, simbolo del vecchio giornalismo, il cosiddetto longform journalism fatto di pezzi lunghi che hanno carattere di piccoli saggi, è precipitato in una crisi senza ritorno. Accentuata anche dalla scelta di Hughes di voler spostare il quartier generale della rivista da Washington a New York: un addio a colonne classiche e statue fuori misura di Lincoln per raggiungere un Empire State of Mind. Sui cambiamenti radicali della rivista, un insider ha raccontato a Politico: “Quello che è successo si può riassumere con un’immagine: quella di un uomo che compra una storica e preziosa villa vittoriana promettendo di lasciarla intatta e dopo due anni la trasforma in un condominio di mini appartamenti”. Ma chi è Franklin Foer, l’anti- Hughes, e perché è stato seguito a ruota da Leon Wieseltier, editor letterario del TNR da più di trent’anni? Laureatosi alla Columbia University, Foer è il fratello dello scrittore di best sellers Jonathan Safran. Autore del libro “Jewish Jocks” sulle stelle dello sport di religione ebraica, approda nel 2006 al New Republic e lo lascia nel 2010. Ritornerà due anni dopo grazie alla richiesta dello stesso Chris Hughes. “Riassumere Foer – spiegava il New York Times nel 2012 – è la prima mossa di quello che Hughes ha descritto come un ambizioso piano per un giornale che ha una prestigiosa storia alle spalle ma anche molto da ricostruire”. Sempre sul New York Times l’editor Wieseltier si mostrava entusiasta: “Il vento è alle nostre spalle. Non dobbiamo più preoccuparci di sopravvivere adesso, possiamo pensare a crescere”. Una favola infranta dalle sue dimissioni, una doccia fredda giunta dopo 31 anni di onorata carriera. Figlio di sopravvissuti alla Shoah, Wieseltier è nato sessanta anni fa a Brooklyn. Ha frequentato la Yeshiva di Flatbush e poi la Columbia, Oxford ed Harvard. Ha scritto diversi libri tra i quali uno intitolato “Kaddish” ed è membro del comitato del Jewish Review of Books. Dopo Foer e Wieseltier la maggior parte dello staff si è alzata, ha messo in uno scatolone storie e nastri di scotch e ha pronunciato il temibile “I quit”, me ne vado. Una torta di compleanno con cento candeline mai stata così amara.

Rachel Silvera, Pagine Ebraiche Gennaio 2015

The New Repubblic – Un secolo liberal

Schermata 2015-12-30 alle 10.33.17Un’anziana signora sui pattini a rotelle. The New Republic featuring Chris Hughes è un remix piuttosto insolito. Fondato nel 1914 da Herbert Croly, Walter Lippman e Walter Weyl con il supporto finanziario dell’ereditiera Dorothy Payne Whitney e del marito, il giornale rappresenta la voce progressiva e liberale d’America, associandosi alla leadership democratica e supportando personaggi come Bill Clinton e Joseph Liberman. Nel ’74 viene acquistato da Martin Peretz, fortissimo sostenitore di Israele; elemento che contrassegna il TNR e lo avvicina alle dinamiche del Medio Oriente. Peretz si è rivolto qualche mese fa proprio a Hughes, ricordandogli quanto fosse importante che il giornale continuasse ad essere vicino allo Stato ebraico. Nel 2007 la stampa subisce cambiamenti radicali: la frequenza di uscita diminuisce, il design diventa più accattivante e le pagine aumentano. Negli anni i contributors si distinguono per fama e gusto: da Virginia Woolf a Philip Roth, da Zadie Smith a George Orwell. Durante i festeggiamenti (che hanno coinvolto Bill Clinton, Madeleine Albright e Aaron Sorkin) del centenario il 19 novembre, Franklin Foer ha ricordato: “The New Republic è stato creato per dare forma al percorso dell’American life e durante l’ultimo secolo siamo divenuti noi stessi un’istituzione americana”. Hughes ha concluso: “The New Republic ha avuto il privilegio di contribuire ai dibattiti nazionali per cento anni e il nostro desiderio è quello di contribuire anche per i prossimi cento”. Un desiderio che adesso suona come l’ultimo canto del cigno.

Chris Hughes – Il giovane magnate
Schermata 2015-12-30 alle 10.33.27Nato trentuno anni fa in North Carolina, Chris Hughes ha tutta l’aria di essere un eroe in caduta libera. Figlio di genitori luterani, padre venditore di carta e madre insegnante, incontra durante il suo primo anno di matricola ad Harvard Mark Zuckerberg. Iniziano a raccogliere insieme le idee per promuovere Facebook: sarà lo stesso Hughes a proporre di lanciare il social network fuori dalle mura di Harvard e aprirlo al mondo. Dopo essersi distaccato da Zuckerberg per laurearsi con lode in storia e letteratura, si dedica al sostegno della campagna di Barack Obama. Diventa poi fondatore di Jumo, un social network che indirizza le persone a trovare il modo migliore per aiutare il mondo tramite l’indicizzazione di charities. Il 2012 coincide con l’acquisto della rivista The New Republic, gotha degli opinionisti di serie A. “Hughes non è un idiota (legge Balzac in francese) ma come businessman si è rivelato essere un bimbo sperduto” ha scritto Dana Milbank. Nonostante la famelica opinione pubblica lo stia facendo a fettine, il biondissimo eroe con gli occhi di un bambino non demorde e il 7 dicembre ha pubblicato un articolo sul Washington Post: “La scorsa settimana una dozzina dei membri dello staff del New Republic ha lasciato, in segno di protesta sulla nuova leadership. Ai loro occhi questo era uno scontro culturale: Silicon Valley vs la tradizione, una guerra dove tutti dovevano scegliere la parte dalla quale stare. Credo che questo semplifichi pericolosamente un dibattito che molti giornali stanno affrontando oggi. Erano colleghi che personalmente mi piacevano e rispettavo e mi ha quindi terribilmente intristito quanto è accaduto. Ma The New Republic è un’istituzione troppo importante per far coincidere le loro dimissioni con la sua fine”.

Pagine Ebraiche Gennaio 2015

(30 dicembre 2014)