Hindu, allo stadio col (finto) rav

PE 1-15 sportNon sono infrequenti, nel mondo dello sport, le identificazioni di una tifoseria con elementi e tracce di identità ebraica. Due esempi, su tutti, arrivano da nobili (un po’ decadute) del calcio europeo: l’olandese Ajax e l’inglese Tottenham. Nel primo caso la particolare origine del club ha fatto persino supporre, per lungo tempo, che Johan Cruyff in persona fosse ebreo; nel secondo è ben noto il collante emozionale racchiuso nel nome di “Yid army” con chiaro richiamo semiotico al termine yiddish (anche se l’accostamento risulta un po’ forzato). Dall’Argentina arriva però una chicca rara: per conferma chiedere ai supporter dell’Hindu, squadra recente vincitrice del campionato cittadino di rugby riservato alle squadre della lega di Buenos Aires.
Hindu contro i campioni in carica del Cuba: è l’ultimo match, decisivo, per la conquista del titolo (i primi preverranno con il punteggio di 29 a 17). A un certo punto la telecamera indugia su due tifosi curiosamente abbigliati: uno da rabbino ultraortodosso, l’altro da papa.
È un attimo e tutti gli obiettivi sono puntati su di loro tanto che La Nacion, quotidiano che segue con attenzione le vicende rugbistiche locali, apre l’edizione del giorno successivo con la foto della gag ecumenica pubblicata con forte evidenza in prima pagina. Una gag, appunto, ma che ha portato a un rinnovato interesse verso l’aspetto “jewish” del club.
A stimolare questa curiosità la tifoseria stessa, ebrei e non, che non ha mancato di sottolineare quanto successo riscuota il coro “Non abbiamo amici, siamo neri ed ebrei” cantato ogni volta in curva con l’aggettivo ‘neri’ che evoca una contrapposizione con la supposta ‘biondezza’ degli atleti delle squadre più altolocate.
Un modo, è stato spiegato, per rivendicare con orgoglio l’aspetto “popolare” e “proletario” del club. Una chiave di lettura utile per comprendere il perché (gag a parte) l’associazione Hindu-ebrei sia tornata prepotentemente di moda.
Per farlo bisogna tornare indietro di qualche decennio: come hanno infatti sottolineato alcuni esperti di sport argentino il percorso di integrazione compiuto da alcune minoranze (ebrei compresi) da inizio Novecento in poi è stato declinato anche attraverso lo sport, l’attività del tempo libero per antonomasia.
Arrivando gli ebrei in larga misura dalla Russia, dalla Polonia, da altri paesi della galassia ashkenazita, il più delle volte in modo in fortunoso e con pochi averi al fianco, la loro emancipazione sarebbe dovuta inevitabilmente partire “dal basso”.
Tanti avrebbero scelto il calcio, decisamente più caldeggiato a Buenos Aires e dintorni. Ma una minoranza avrebbe comunque guardato con fiducia alla palla ovale trovando nell’Hindu, attivo ininterrottamente dal 1919, uno sbocco quasi imprescindibile.
Nell’album dei ricordi del club una vasta galleria di atleti, allenatori e dirigenti ebrei: chi più, chi meno, è parte del secolo Hindu. E anche adesso che altre iniziative sono state lanciate in campo ebraico il legame resiste indissolubile. Tanto che un tifoso azzarda: “Siamo ebrei, ebrei ‘hinduisti’. Chi è più speciale di noi?”.

Adam Smulevich, da Pagine Ebraiche, gennaio 2015

(2 gennaio 2015)