Ahmed Merabet

dfubiniNon so nulla di Ahmed Merabet, salvo quel poco che ne scrivono i giornali. Eppure il fotogramma immortalato dalla ripresa sfocata, che lo ritrae a un secondo dalla morte, è un megafono che urla nel mio orecchio da quando l’ho visto. Urla parole in francese, pronunciate quasi senza odio palpabile, da un uomo vestito in nero integrale che ha appena fatto una strage. Ahmed, in divisa da poliziotto di quartiere, è ferito, si è accasciato per terra, e l’uomo fra un attimo gli sparerà di nuovo, per ammazzarlo. Un’esecuzione, l’unica che tutti abbiamo visto perché ripresa in video, mentre la redazione di Charlie Hebdo era già un bagno di sangue che forse per fortuna nessuno ha potuto riprendere.
Siamo così abituati al sangue, ormai. Decapitazioni, stragi di bambini, persone riverse per terra e rivoli di sangue che cercano un tombino in cui colare. In quel fotogramma non c’è sangue. C’è invece tutto il vero dramma dell’Europa di oggi. Due persone cresciute in Europa, che condividono una fede, ma che la interpretano e vivono in modi così diametralmente opposti che uno dei due deve necessariamente soccombere. Mercoledì è toccato a Ahmed. Avrebbe potuto essere il contrario, se Ahmed fosse stato preso meno di sorpresa, se avesse potuto immaginare che nel suo quartiere qualcuno aveva appena ammazzato a sangue freddo una intera redazione di giornalisti disarmati o meglio armati, di pericolosissime penne e matite.
Quel fotogramma è una “Guerra di Piero” in cui tutti e due gli uomini armati moriranno, e il senso della loro morte rischia di perdersi in fondo alla valle di papaveri rossi delle coscienze europee, che non sono in grado di arginare il terrore pur conoscendolo e riconoscendolo in tutte le sue manifestazioni di estremismo, anche quando non ammazza cittadini o poliziotti. Il grido “Svegliati Europa, svegliati Parigi” risuonato nelle manifestazioni dopo il massacro è il riverbero di una leadership lenta che non è stata all’altezza del pericolo reale che cammina per tutte le strade d’Europa da almeno un decennio.
Ricordo di aver pensato il 12 settembre 2001 che sarebbe stato un giorno duro per ogni musulmano del mondo occidentale, specie per i moderati o perfino ignavi fino al giorno prima. L’8 gennaio e tutti i giorni successivi son giorni duri per tutti, non solo per i musulmani, anche grazie al sacrificio di Ahmed, un poliziotto parigino. Perché se siamo tutti Charlie, oggi, dobbiamo anche essere tutti Ahmed, e tutti “flic”, e tutti francesi. Essere così tante identità e storie diverse è un impegno che richiede uno sforzo culturale non secondario, ma non c’è alternativa se si vuole prevalere contro il cancro fondamentalista, da ogni parte esso si insinui. Buona fortuna, Europa.

Daniela Fubini, Tel Aviv

(9 gennaio 2015)