utilità…

Quando la Torah ci dice per la prima volta che Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ incarica Moshè di andare a parlare al faraone affinché lasci uscire gli Ebrei dall’Egitto, il midràsh riporta un’osservazione di Rabbì Lewì molto curiosa: La situazione – egli dice – assomiglia al caso di un re che pianta un frutteto, e vi inserisce diversi alberi non fruttiferi. Alla domanda dei suoi servi sul perché abbia piantato alberi non fruttiferi, il re risponde che anch’essi gli servono per rifornirlo di legname da costruzione.
Se è evidente che il re è Ha-Qadòsh Barùkh Hu’, più difficile è capire che cosa rappresentino gli alberi non fruttiferi. Ma la logica del discorso fa pensare che essi rappresentino il faraone. Difatti, nonostante che Moshè e Aharòn siano in frequente contatto col faraone, in realtà non sarà la sua volontà a determinare l’uscita del popolo ebraico. C’è quindi da domandarsi perché essi debbano fare ripetutamente l’inane fatica di implorare dal faraone (ed a volte di pretendere) la liberazione del popolo ebraico.
Rabbì Lewì risponde che in effetti il faraone è ininfluente in merito all’uscita degli ebrei dall’Egitto; ha invece un altro ruolo: quello di “materiale da costruzione”, ossia uno strumento nelle mani di D.o per ‘costruire’ qualcosa.
Che cosa ‘costruisce’ D.o attraverso il faraone? Possiamo rispondere che costruisce uno strumento didattico per tutti, ebrei e non ebrei, che serve a capire chi è D.o e come agisce nella storia. Da tutta la vicenda, a partire dall’affermazione del faraone “Non conosco il Signore e non lascerò andare via Israele” fino alla sua invocazione “Pregate per me”, c’è un crescendo di dimostrazioni (le piaghe) dell’intervento divino sulle vicende del mondo e del dominio divino sul mondo intero, da quello naturale (acqua, terra, aria, fuoco) a quello sociale (i primogeniti).
Se ci pensiamo, questo midràsh ci dice tante altre cose. Possiamo ricavarne il fatto che anche ciò che potrebbe sembrare inutile ha un suo scopo nell’ottica divina, perfino quanto di più negativo possa esistere; da qui l’idea che anche ciò che ci sembra inutile ha una sua dignità. Credo che solo se ci rendiamo conto di questi insegnamenti possiamo ritenerci veramente liberi dagli infiniti condizionamenti che la società porta con sé.

Elia Richetti, rabbino

(15 gennaio 2014)