Far finta di essere sani

tobia zeviDiario della settimana. Titolo: “Fare finta di essere sani” (Giorgio Gaber dixit). Riaffermare concetti semplici che, in un dibattito impazzito, rischiano di soccombere. 
Prima questione: le vignette di Charlie Hebdo erano offensive e non sempre divertenti, ma non è tollerabile che una persona venga uccisa per quello che scrive o disegna. #JesuisCharlie significa solidarizzare con le vittime di un orrore. Un atteggiamento giusto e necessario. Anche se non si apprezzano quelle vignette. Dove sta la contraddizione?
Seconda questione: due ragazze – non le conosco, non conosco le loro posizioni – vengono sequestrate in Siria e liberate dai servizi segreti. Si discute sulla strategia: pagare il riscatto o non trattare? Personalmente ritengo che lo Stato italiano abbia agito correttamente, ma capisco chi sostiene la tesi opposta. Sono scelte di politica internazionale. Cosa c’entrano, però, le insinuazioni, le illazioni, le critiche alle due ragazze o persino ai loro genitori? É accettabile che a muoverle, con accenti assai volgari, siano personalità istituzionali (chessò? Maurizio Gasparri)?
Terza questione: un ragazzo di venti anni sale sul palco durante un convegno per fare una domanda. Accolto tra i fischi, trattato come un provocatore, strattonato via dal palco. Di fronte a presidenti, politici, prelati e giornalisti. Senza che nessuno abbia niente da dire. Ma è normale? 
Fare finta di essere sani.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi

(20 gennaio 2015)