Leggere lo scandalo della Storia
“Romanzo documentario”, così l’autrice definisce il suo libro, che non appartiene all’autobiografia tradizionale del confine orientale, da Slataper a Magris celebrata per i suoi toni antiletterari, passionali oppure, nella variante ebraico-borghese, da Una vita di Svevo a Il direttore generale di Giorgio Voghera, per l’ambientazione impiegatizia- commerciale, per l’antitesi vita-letteratura. Qui lo scandalo della Storia – per dirla con la Morante – copre il ruolo di protagonista. Sonnenschein (“Trieste” in edizione italiana) fa genere a sé, la biografia “di frontiera” dell’autrice, favorisce la costruzione di una struttura policentrica, ibrida: si ripercorre un secolo abbondante di storia a Gorizia (in parte anche a Trieste) dialogando a distanza con i maestri-scrittori dell’area giuliana, ma senza identificarsi con loro; fa eccezione Saba, il Saba goriziano, quello meno conosciuto, malato, ricoverato per il suo cronico stato depressivo nell’istituto di un Basaglia ancora lontano dalla rivoluzione psichiatrica degli anni Sessanta.
Questo libro, che all’estero ha avuto un grande successo di pubblico e ha suscitato ampie discussioni, può essere letto in modi diversi. Racconta la vita travagliata di Haya Tedeschi, nata a Gorizia il 9 febbraio 1923 e della cerchia allargata dei suoi famigliari: è però anche una sorta di contro- manuale di storia del Litorale Adriatico. Come nel romanzo più famoso della Morante, la piccola storia si scontra con la grande storia. Lo “scandalo” nasce dal contrasto fra gli eventi epocali del Novecento e le singole vicende degli umani. Si ripercorre la fine dell’Impero, le alterne vicende del confine, tra ascesa del fascismo e suo tracollo. Sono molto belle le pagine sulla Grande Guerra, sull’Isonzo con quei dati impressionanti di vittime militari e civili, con l’eredità pesante lasciata alle generazioni successive. Sonnenschein può essere infine definito, capovolgendo il sottotitolo, “un libro della memoria romanzato”. Secondo la tradizione ebraica gli uomini e le donne i cui nomi vengono pronunciati rimangono in vita. Il libro è a tal punto “documentario” da riuscire nell’impresa sovrumana di inglobare dentro di sé i mille e mille nomi del Libro della Shoah in Italia, di cui, a suo modo, rappresenta una variazione narrativa, autobiografica. Un esercizio quasi di mnemotecnica, all’interno di un racconto letterario. Delle schede del Libro della Memoria si recupera l’intestazione, si mantiene il rigoroso ordine alfabetico, perché la lotta fra ordine e caos appaia più chiara. Una enumerazione caotica, che produce un effetto straniante rispetto alle più sintetiche vie delle scorciatoie di Saba, citate per contrasto. L’autrice è assediata da un vero furore elencatorio: tavole genealogiche, elenchi, documenti archivistici per fortuna alleggeriti dall’inserzione, alla maniera di Sebald, di parti dell’album fotografico di famiglia o documenti iconografici d’epoca, soprattutto copertine di libri o riviste: quasi un libro illustrato dentro il libro raccontato. Sonnenschein ha una pluralità di ambientazioni.
Ci fa spostare con agilità in mezza Europa, ma l’epicentro dei sismi novecenteschi rimane sempre Gorizia, città dai molti nomi con un piccolo centro urbano, che un personaggio femminile percorre in lungo e in largo ogni sera, gravata da storie famigliari assai complicate, “pur tuttavia insignificanti, benché la Storia se le tiri dietro ormai da secoli, simili a fuscelli spezzati portati via dal torrente, insieme alle bestie, crepate dalle pance rigonfie, alle mucche dagli occhi spalancati, alle pantegane senza coda, ai cadaveri sgozzati e ai suicidi”. Uno di questi personaggi ombra è Enrico Mreule, professore di filologia classica, dalla Patagonia a Gorizia. Staatsgymnasium K.u.K. Ora si chiama Liceo Vittorio Emanuele II. Enrico arriva, gli altri si preparano per partire, anche per sempre.
Della “vocation suicidaire” dei goriziani si sono occupati a lungo storici e letterati, incuriositi dal più famoso dei suicidi “metafisici”, Carlo Michelstaedter e dal conta- gio estesosi alla cerchia dei suoi conoscenti e amici, “la turba goriziana” la definiva l’autore della Per suasione. “Quand’anche ci siano stati, a [me] non ne ha mai parlato nessuno”, ribatte l’autrice: “A Gorizia hanno vissuto e sono morti alcuni suicidi abbastanza noti e altrettanti personaggi famosi. Da questa città in molti sono passati di corsa, alcuni ci sono rimasti, altri sono stati portati via”.
Alberto Cavaglion
Pagine Ebraiche febbraio 2015
(23 gennaio 2015)