Rav Lau, dalle ceneri alla Storia
“Dalle ceneri alla Storia”, questo il titolo del libro autobiografico di rav Israel Meir Lau, già rabbino capo di Israele e rabbino capo di Tel Aviv, finalmente tradotto in italiano per Gangemi editore, che verrà presentato lunedì 26 gennaio alle 10:30 a Roma, nell’Auditorium Antonianum di viale Manzoni 1, alla presenza dell’illustre autore. Il libro è stato presentato anche un paio di settimane fa a Gerusalemme, presso la sede del Tempio Italiano, con la partecipazione di rav Lau, rav Riccardo Di Segni e David Cassuto e la conduzione di Cecilia Nizza. Fra il numeroso pubblico, l’ambasciatore italiano in Israele Francesco Talò e signora. Chi non ha mai sentito parlare rav Lau, non si lasci sfuggire l’occasione. E chi già lo conosce (è stato diverse volte in Italia), sa bene che ogni volta che rav Lau parla suscita una emozione come pochi sanno fare. Non è solo la storia personale del Rav, è il modo di comunicarla che commuove e tocca le corde più profonde del cuore. È la storia di un bambino di 7-8 anni che dalla città polacca di Piotrków fu deportato con la famiglia e altre migliaia di ebrei, passò da un campo all’altro e fu rinchiuso infine nel campo di Buchenwald insieme al fratello Naftali, di una decina d’anni più grande. Proprio grazie a Naftali, scomparso circa due mesi fa, il piccolo Lulek (così era soprannominato) si salvò. Non fu un caso se ciò avvenne. Naftali aveva ricevuto l’incarico dal padre, rabbino capo di Piotrków, prima che fosse deportato e ucciso a Treblinka, di far di tutto per salvare il fratellino che avrebbe dovuto continuare una ininterrotta dinastia rabbinica di 37 generazioni. E così avvenne. Arrivati dopo la liberazione in Eretz Israel, soli senza padre né madre (deportata a Ravensbruck da cui non fece ritorno), Lulek fu cresciuto nella famiglia dello zio, il rabbino Mordechai Vogelmann, che per alcuni anni, dal 1923 al 1926, era vissuto a Firenze per insegnare al Collegio rabbinico italiano su invito di rav Margulies (anche suo fratello, Schulim Vogelmann, viveva a Firenze e lavorava alla tipografia Giuntina). Lulek a poco a poco tornò alla vita, studiò nelle più importanti yeshivot di Israele, da Kol Torà alla yeshivà di Ponevezh, e scalò ben presto tutti i gradini della carriera rabbinica, fino ad essere nominato rabbino capo di Tel Aviv e poi, nel 1993, rabbino capo ashkenazita di Israele. Dopo la fine del mandato (che non può superare i dieci anni), rav Lau è tornato a essere rabbino capo di Tel Aviv.
Tanti i racconti legati alla pubblicazione dell’autobiografia, un libro che il Rav ha tenuto in serbo nel suo intimo per 60 anni e scritto in 6 mesi. L’edizione originale ebraica, pubblicata nel 2005, è subito diventata un best seller, di gran lunga superiore ai best seller dei maggiori scrittori israeliani. Un giorno il Rav riceve una telefonata da un membro di un kibbutz che gli chiede dove possa comprare il libro. Il Rav risponde che probabilmente è meglio chiedere che venga acquistato dalla biblioteca del kibbutz. E l’altro: “Lo so bene! È già stato fatto, ma c’è una lista di attesa di una ottantina di persone e io ho più di 80 anni…”. Il Rav gli ha quindi spedito una copia omaggio con dedica personalizzata. Emozionante il racconto di una lettera scritta da un soldato israeliano gravemente ferito in combattimento, che avendo perso ogni volontà di sopravvivere non vuole più sottoporsi a difficili operazioni, nonostante le insistenze dei familiari. La forza di continuare la ritrova proprio grazie alla lettura del libro di rav Lau. Se un bambino di otto anni, senza più padre né madre – così ha scritto il soldato – riuscì ad avere la forza di continuare a vivere nei campi di concentramento nazisti e arrivare in Israele, studiare e diventare rabbino capo, tanto più chiunque altro ha il dovere di non perdere le speranze.
Gianfranco Di Segni, Collegio rabbinico italiano
(25 gennaio 2015)