Qui Roma – La lezione del rav Lau

auditoriumA Roma per presentare la sua biografia “Dalle ceneri alla storia” (ed. Gangemi), l’ex rabbino capo di Israele rav Yisrael Meir Lau, oggi rabbino capo di Tel Aviv, ha incontrato in mattinata a Palazzo Giustiniani il Capo dello Stato reggente Pietro Grasso. L’incontro, cui ha preso parte il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna e una folta delegazione della Comunità ebraica romana guidata dal presidente Riccardo Pacifici e dal rabbino capo Riccardo Di Segni, ha toccato i temi più densi della testimonianza del rav e trovato concordi i protagonisti sull’importanza di tenere viva la Memoria della Shoah e la sua terribile lezione.
Il futuro della Memoria e il futuro del dialogo tra gli argomenti affrontati in occasione di un incontro con papa Bergoglio avuto più tardi dal presidente dell’Unione e da una delegazione dell’Università Ebraica di Gerusalemme accompagnata in Vaticano da Viviana Kasam, tra le ideatrici del grande concerto “Tutto ciò che mi resta” in programma stasera all’Auditorium Parco della Musica.
Due le occasioni pubbliche di confronto per il rav: all’Oratorio Di Castro ieri sera e all’Auditorium Antonianum quest’oggi.

Decine e decine di persone hanno affollato ieri l’Oratorio di Castro dove rav Lau ha tenuto una lezione sul tema dell’assimiliazione e dell’identità ebraica. Ad introdurlo il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni: “Avere qui una personalità del genere è un grande privilegio e non ha davvero bisogno di presentazioni. Invito tutti a leggere la sua biografia perché è davvero un’esperienza straordinaria. Il rav però oggi è qui per parlare non di passato ma di futuro”. Nella biografia “Dalle ceneri alla Storia” (Cangemi ed.) rav Lau ricostruisce le sue peripezie, da quando si salvò miracolosamente con il fratello Naphtali dopo essere stato internato nel campo di concentramento di Buchenwald fino alla sua nuova vita in Israele. A tracciarne la storia nel giorni precedenti su Pagine Ebraiche 24 rav Gianfranco Di Segni.
Prende poi la parola il rabbino Lau: “Noi ebrei abbiamo avuto tre tipi di diluvi. Il primo di acqua ai tempi di Noè, il secondo è di sangue e di fuoco ai tempi dei nazisti, il terzo infine è quello che si abbatte oggi su di noi: l’assimilazione. Sapete quante persone oggi si autodefiniscono ebree? Meno di 14 milioni.
Settant’anni fa ad autodefinirsi così erano in 18 milioni.
Vi pongo l’esempio dell’America alla luce degli studi demografici di Sergio Della Pergola e di Roberto Bachi: nel 1945 si autodefinivano ebrei circa sei milioni di americani. Ora secondo i calcoli (due figli circa a famiglia) sarebbero dovuti essere 36 milioni. Sapete invece quanti sono? Meno di 3 milioni e mezzo. Questo perché? Perché si sono assimilati.
Venti anni fa ricevetti una lettera che mi invitava a recarmi in Ungheria per la celebrazione di una fondazione ebraica. A scrivermi fu l’attore di Hollywood Tony Curtis nato Ben Schwartz. La sua discendenza però non è ebraica, così come non lo è quella di Michael Douglas.
Trent’anni fa sempre in quella occasione portai con me un libro che avevo scritto sulle pratiche dell’ebraismo. Notai che il sindaco lo sfogliava e leggeva forsennatamente una pagina in particolare. Andai allora vicino a lui e gli chiesi cosa lo colpiva: mi disse che era molto interessato all’accensione delle candele dello Shabbat perché c’era una donna che lo faceva ogni venerdì senza saperne il motivo in ricordo di sua madre. Quella donna era sua moglie. A quel punto il vicesindaco mi chiese se avevo un’altra copia anche per lui. Gli domandai se anche sua moglie fosse ebrea ma mi rispose che l’ebreo era lui.
lauVoglio raccontarvi poi un’altra storia: quarantaquattro anni fa organizzai un seder per una delegazione americana giunta in Israele di ebrei e non ebrei. Ad ognuno regalammo una Haggadah. Uno di loro, di religione ebraica, mi chiese di fargli una dedica passandomi una penna. Ero molto imbarazzato perché non sapevo come fargli notare che durante la festa non potevo di certo scrivere. Un prete della delegazione mi accorse in aiuto spiegando che non potevo farlo. Chiesi allora al signore ebreo se rispettava Shabbath o la casheruth. Lui mi rispose che l’unica cosa che faceva era accendere le candele della Chanukkiah. Questo perché i suoi figli si erano assimilati e festeggiavano Natale ma lui voleva sempre ricordare loro di essere ebrei. Mi disse dunque: Io combatto la stessa battaglia dei Maccabei, quella contro l’assimilazione”.
Rav Lau infine conclude con un’allegoria trasmessa a lui dal suocero riguardo il legame tra la parola cappotto e la parola fede: “Il sole e il vento un giorno decisero di sfidarsi per vedere chi riusciva a far togliere il cappotto ad un uomo per strada. Il vento soffio forte ma l’uomo si avvolse ancora più forte il cappotto ed allacciò i bottoni. Il sole invece tranquillamente cominciò a colpirlo con i suoi raggi fino a farlo desistere e quello si tolse il cappotto. In tanti hanno fatto come il vento e con le loro aggressioni hanno provato a farci togliere il cappotto ma noi abbiamo sempre resistito. Il sole che rappresenta l’emancipazione ci ha invece fatti assimilare, rimuovendo in molti la fede. Torniamo ai tre diluvi: per il terzo tipo è quello dell’assimilazione e quale è dunque la soluzione? La soluzione è l’educazione, impartita fin dall’età di tre anni. Portate al tempio i vostri figli, fateli indossare la kippah, fateli vivere in una società ebraica. Solo così il diluvio cesserà”.

Nella cornice dell’Auditorium Antonianum rav Yisrael Meir Lau ha incontrato gli studenti dei licei romani e le autorità. Con lui i testimoni della Shoah Piero Terracina e Sami Modiano.
Ad introdurre l’incontro l’assessore alla Memoria della Comunità ebraica di Roma Elvira di Cave: “Il piccolo Lulek di soli otto anni di certo non credeva che un giorno avrebbe mangiato nello stesso tavolo della regina d’Inghilterra e avrebbe incontrato il papa. Il piccolo Lulek è diventato rav Lau che oggi ospitiamo qui”. Il presidente della Comunità ebraica capitolina Riccardo Pacifici aggiunge: “Voglio ringraziare la presenza del vice ambasciatore francese, dell’ambasciatore d’Armenia con il quale condividiamo il terribile genocidio avvenuto nel secolo scorso e l’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede. La cosa straordinaria è che ci troviamo qui oggi per sentire le storie di chi ce l’ha fatta, di chi è sopravvissuto alla Shoah”. In conclusione il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni: “L’unica cosa che possiamo fa è ascoltare con timore e amore le loro testimonianze”.
A prendere la parola è dunque rav Lau che ripercorre la sua storia: “Il libro che presento qui oggi l’ho scritto in pochi mesi ma lo avevo nel cuore da 60 anni. Il titolo originale è ‘Non alzare la mano contro il bambino’ e richiama le parole di D-o quando fermò Abramo che stava per compiere il sacrificio del figlio Isacco. L’editore però mi disse che non era molto commerciale, io gli risposi: bene, prendere o lasciare. E quello accettò. Venne poi tradotto in otto lingue fino a questa versione in italiano che si intitola ‘Dalle ceneri alla Storia’. Perché questo titolo? Perché è meglio che questo avvenga tardi piuttosto che mai. Meglio tardi che mai ho scritto il libro. Meglio tardi che mai il mondo ha riconosciuto il Giorno della Memoria”.
L’intervento di rav Lau prosegue poi con una riflessione: “Nella Seconda Guerra Mondiale sono morti sessanta milioni di persone di cui sei milioni di ebrei. Ma i numeri non riescono ad entrare nei cuori. Non ci riusciamo ad identificare con delle cifre. Quando avevo 10 anni lessi ‘Il diario di Anna Frank’ e rimasi davvero deluso: ma cosa dice in definitiva? Non c’è nemmeno un giorno trascorso nel ghetto, nemmeno un’ora in un campo di sterminio. Solo quando lo rilessi a 15 anni capii la sua importanza: quella è la prima storia individuale che il mondo ha incontrato. Anna Frank quella ragazza piena di talento non ritornò più, e il mondo per la prima volta pensò: che peccato, che dolore! Quello che dobbiamo però capire è che la persecuzione nazista inizio molto prima: Hitler ha fatto molti esperimenti per capire la reazione del mondo. Un esempio? La notte dei cristalli in cui le sinagoghe furono distrutte e migliaia di ebrei uccisi ed altre migliaia deportate. E quale fu la reazione del mondo? Basta aprire il giornale dell’epoca. A nessuno interessò nulla. Nessuno reagì nemmeno di fronte alla strage di Babi Yar in Ucraina: tra i morti vi era Etty, una piccola orfana di 5 anni che mi sono ripromesso di ricordare ogni volta. Molti chiedono dove fosse D-o ma io vi chiedo oggi: dove erano gli esseri umani? E mi chiedo anche: ma perché, perché le nostre scuole ebraiche devono essere sorvegliate dalla polizia? Perché nelle sinagoghe devono esserci le telecamere di sicurezza. Perché l’Europa non cambia?”.
Piero Terracina e Sami Modiano che si sono conosciuti proprio al campo di concentramento di Auschwitz ripercorrono i momenti della loro liberazione: “Iniziammo a marciare insieme poi ci dividemmo. Il freddo, il freddo di quel gennaio nel 1945 non lo dimenticheremo mai”. Piero Terracina ricorda poi una strage mai raccontata fino in fondo, quella dei rom: “Nel loro campo non erano stati privati dei loro vestiti, non avevano i capelli rasati, continuavano a suonare. Fino al giorno, quel giorno terribile nel quale vennero uccisi tutti in massa dai nazisti. Credo fermamente che nel loro cuore quelle persone pensavano che sarebbero sopravvissute, che avrebbero proseguito con i loro carri. Ma non tornarono più”.
Sami Modiano poi aggiunge: “Quando io e Piero siamo tornati eravamo soli, senza famiglia senza niente. Ci siamo adottati a vicenda e ora siamo l’uno fratello dell’altro”.
Conclude l’assessore a Scuola, Sport e Partecipazione dei Cittadini di Roma Capitale Paolo Masini: “Vorrei che il nostro lavoro per la Memoria continuasse. Mi piacerebbe venisse intitolata una scuola a Shlomo Venezia e vorrei che tutti gli studenti che sono qui oggi si impegnassero a cancellare le ignominiose scritte negazioniste che troppo spesso deturpano la nostra città”.

Rachel Silvera twitter rsilveramoked

(26 gennaio 2015)