Qui Torino – Il dovere del ricordo

torinoA Palazzo Civico si è da poco conclusa la cerimonia in occasione del Giorno della Memoria, nonché settantesimo anniversario della liberazione da parte delle truppe sovietiche di Auschwitz. La sala Rossa, gremita di persone, tra cui numerosi ragazzi delle scuole elementari e medie, è stata lo scenario di un susseguirsi di interventi. Tra il pubblico erano presenti, tra gli altri, rav Ariel Di Porto, rabbino capo della Comunità Ebraica di Torino e Manuel Segre Amar, vice presidente della Comunità.
É il presidente del Consiglio comunale, Giovanni Porcino, a prendere per primo la parola, definendo la Shoah come uno spartiacque nella nostra storia, come il più orribile cortocircuito del secolo passato, ma è proprio da quel cortocircuito, spiega, che bisogna rinnovare le energie e tenere viva la Memoria. “Calvino – conclude Porcino – scrisse che la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, ed è con questa convinzione che ogni anno ci troviamo a celebrare il Giorno della Memoria, data simbolica, ma impegno costante in tale direzione”.
Segue l’intervento di Nino Boeti, consigliere regionale, che mette in luce come l’idea di sterminio oltre all’eliminazione fisica, puntasse anche e soprattutto all’oblio della memoria. “Primo Levi”- prosegue- “ diceva che non è lecito dimenticare, come non è lecito tacere. Per questo un futuro di giustizia ha bisogno di memoria”.
A ricordare l’istituzione del Giorno della Memoria è Ugo Sacerdote, presidente dell’Associazione Resistenza, e lo fa leggendo il testo della legge del 20 luglio 2000: “Il 27 gennaio è il giorno dell’abbattimento dei cancelli di uno dei numerosi campi di sterminio, ma perché si è scelto questo campo e non un altro? Perché Auschwitz è stata in assoluto un’efficientissima macchina della morte ed è per questo che è diventato il tragico simbolo della Shoah”. Sacerdote si sofferma inoltre sull’importanza di ricordare non solo chi non ha fatto più ritorno, ma anche quanti offrirono protezione ai perseguitati, definendole “Storie anonime di coraggioso altruismo”. Mette in guardia dall’oblio, che tende a mischiare chiari e scuri, riducendo tutto a una zona grigia, dove il male e il bene, la vittima e il carnefice si confondono. Il male vince quando i buoni stanno in silenzio.
Tra le numerose iniziative del Giorno della Memoria, la più importante è legata al Progetto Pietre d’inciampo che poche settimane fa ha coinvolto la stessa Torino, con la posa di ben 27 pietre in 19 luoghi della città. “Il progetto – spiega Guido Vaglio, direttore del Museo Diffuso di Torino – non si è concluso con la posa, anzi, ha dato il via a un progetto educativo che ha visto coinvolte dieci classi di giovani studenti, ognuna delle quali ha simbolicamente adottato una delle pietre”. È poi Roberto Duretti a prendere la parola, raccontando la vicenda della sua famiglia, o meglio la storia di sua madre, Stella Valabrega, sopravvissuta alla deportazione ad Auschwitz quand’era appena ventenne.
Roberto Duretti assieme alla sorella, ha fatto richiesta per la posa di una pietra d’inciampo in memoria dei nonni e della madre, prelevati dalla polizia dalla loro casa in Via Po 25. Oggi passando davanti a quel numero civico si possono vedere tre pietre d’inciampo. Durante il suo intervento definisce lui e la sorella figli di una sopravvissuta, figli della Shoah. “Siamo stati – continua Duretti- il desiderio di normalità per nostra madre e di speranza per il futuro. Mi ricordo le crisi e gli incubi notturni la affliggevano anche dopo molto anni, come se da quell’inferno non ne fosse mai davvero uscita; tant’è che per tutta la vita occultò i motivi per cui era stata deportata: aveva la necessità di trovare ed esibire una nuova identità e così diceva che suo padre era ebreo, ma la madre no, e di conseguenza noi figli non lo eravamo. Al suo bisogno di nascondere per paura la vera origine ebraica, è seguito il nostro desiderio di capire e di ricercare la nostra vera identità: i miei nonni erano entrambi ebrei, quello che ha fatto mia madre è stato un gesto estremo di protezione”.
A concludere l’intenso incontro è Elena Ottolenghi, anche lei coinvolta direttamente nel progetto Pietre d’inciampo. Si definisce molto soddisfatta dell’iniziativa che ha visto coinvolte le scuole, le ha dato la possibilità di trovare ragazzi interessati ed insegnanti attente ad avvicinarli a temi delicati, ma imprescindibili, come la Shoah. “Non si tratta di lezioni frontali – spiega- ma sono i ragazzi che esprimono la necessità di una partecipazione attiva”. Anche lei ha avanzato la richiesta di posare delle pietre d’inciampo in ricordo di un’intera famiglia che, prelevata da Via Fratelli Carle, non ha mai più fatto ritorno. “Per anni passando davanti a quella casa mi sono sempre chiesta come fosse possibile che nessuno sapesse o ricordasse cosa fosse successo. Ora queste pietre costituiscono un punto fermo. L’Europa dovrebbe brillare di queste pietre che sono un inciampo non al passo, ma alla Memoria”.
Piero Fassino, sindaco della città conclude dicendo che l’umanità non è vaccinata rispetto agli eventi passati, rigurgiti xenofobi e antisemiti riguardano ancora il presente. Ogni anno durante il Giorno della Memoria si rinnova un impegno morale per contrastare una vasta zona grigia di indifferenza e passività. “Noi- sottolinea – abbiamo il dovere di non essere indifferenti. I diritti universali non vivono solo perché sono scritti sulla carta, ma vanno affermati tutti i giorni”.
Tutti noi abbiamo il dovere di far vivere questi diritti e nulla e nessuno vanno dimenticati.

Alice Fubini

(27 gennaio 2015)