Storie – I disegni
“Tu uomo, sei stato capace di far questo”, scriveva nel 1981 Primo Levi nella prefazione ad un libro sui disegni dai lager autoprodotto da un oscuro ragioniere veneto, Arturo Benvenuti. Poeta e pittore per hobby, Benvenuti – spinto da un bisogno insopprimibile di testimoniare quello che era accaduto – aveva girovagato per mesi in Europa nei luoghi della Memoria, a bordo di un camper, per raccogliere con la sua macchina fotografica centinaia di bozzetti realizzati dagli internati nei lager con spezzoni di matita e su fogli di fortuna, qualcuno dipinto dai superstiti nell’immediato dopoguerra o da chi entrò nei campi come liberatore.
Una raccolta eccezionale, rimasta praticamente inedita per trent’anni, che uscì nel 1981 in un’edizione in poche centinaia di copie, fuori commercio, e che solo ora viene proposta al grande pubblico, con il titolo “K.Z. Disegni degli internati nei campi di concentramento nazifascisti” (edizioni BeccoGiallo, pp. 272, euro 26), a cura di Roberto Costella. Una parte di questi disegni sarà esposta per un mese a Roma, in una mostra aperta al pubblico, presso la Libreria Fandango, dal 27 gennaio al 27 febbraio.
Il viaggio di Benevenuti iniziò nel settembre 1979. Una sorta di via crucis lungo le “stazioni” di Auschwitz, Terezín, Mauthausen-Gusen, Buchenwald, Dachau, Gonars, Monigo, Renicci, Banjica, Ravensbrück, Jasenovac, Belsen, Gürs, visitando archivi, musei, biblioteche del Vecchio continente, incontrando decine di sopravvissuti, recuperando testimonianze perdute e fotografando centinaia di disegni.
Dalle 250 opere in bianco e nero del libro viene fuori il quadro grigio e desolante della vita, anzi della non vita di uomini e donne di tutte le nazionalità in quel particolare microcosmo, dominato dall’annullamento di ogni tratto di umanità e dall’incubo perenne e incombente della morte.
Si resta colpiti soprattutto dal fatto che le figure dei deportati sembrano sospese nel nulla, in un’atmosfera irreale, quali fantasmi scheletrici indistinguibili, che vagano come ombre tra le baracche, non di rado con i lineamenti deformi o deformati o ancora coprendosi il volto con le mani. Un’umanità dolente e senza identità, accatastata nei campi, privata della libertà e della dignità, ridotta in schiavitù dalla terrificante macchina dello sterminio messa in piedi da Adolf Hitler, con il suo apparato di carcerieri delle SS e cani ringhianti.
Benvenuti, oggi 91enne, nell’introduzione afferma che il libro costituisce “un contributo alla giusta ‘rivolta’ da parte di chi sente di non potersi rassegnare, nonostante tutto, ad una realtà mostruosa, terrificante”. Quello dei prigionieri artisti fu insomma un tentativo di resistere all’orrore (i disegni venivano nascosti e gli autori rischiavano la vita) e anche di testimoniare a futura memoria, senza “vuote parole, senza retorica”, solo col tratto di una matita.
Mario Avagliano
(27 gennaio 2015)