Qui Venezia – Tra musica e Memoria
Questa Mattina al teatro Malibran si è svolta la cerimonia cittadina del Giorno della Memoria con gli interventi del commissario straordinario del Comune di Venezia, Vittorio Zappalorto, e del presidente della Comunità ebraica, Paolo Gnignati. A seguire il concerto di Oliver Messiaen “Quatuor pour la fin du temps (Quartetto per la fine del Tempo) che sarà eseguito dall’Ex Novo Ensemble per clarinetto (Davide Teodoro), violino (Carlo Lazari), violoncello (Carlo Teodoro) e pianoforte (Aldo Orvieto). Il compositore francese, Oliver Messiaen, compose le musiche in un campo di lavoro tedesco presso Görlitz dove era prigioniero di guerra. Assieme a tre musicisti, suoi compagni di prigionia, con l’autorizzazione del responsabile del campo, eseguì ‘la prima’ il 15 gennaio 1941, davanti a un pubblico di circa quattrocento persone composto da prigionieri e guardie.
Di seguito il discorso integrale del presidente Paolo Gnignati:
Signor Prefetto, Signor Commissario, Autorità, Signore e Signori,
Convinto come sono che fuori dall’esempio che traiamo da storie concrete e figure che, nel bene o nel male, hanno dato prova di sé nel periodo della persecuzione e del genocidio, sia fortissimo il rischio di scivolare in discorsi di fredda commemorazione, lo scorso anno in quest’occasione ho avuto modo di ricordare la figura del prof. Giuseppe Jona, illustre Presidente della Comunità ebraica, suicida nel settembre 1943, il quale ha lasciato un testamento in cui affermava i valori di vita nei quali, nonostante tutto, ancora egli credeva e ha sentito di riaffermare con un testamento steso nel momento più buio, e cioè solo pochi giorni prima del suicidio, la sua fede nella possibilità di un cambiamento in positivo dell’uomo e della società.
Vorrei quest’anno soffermarmi e prendere le mosse per una riflessione da una figura altrettanto eminente, quella a del Prof Gino Luzzatto, illustre docente universitario, Rettore di Ca’Foscari, a sua volta Consigliere della Comunità ebraica dal 1940, cicepresidente della Comunità dal 1945 alla morte, avvenuta nel 1964.
Al contrario di Jona un uomo, quindi, che al periodo della persecuzione è, per fortuna, sopravvissuto.
La fotografia retrospettiva della sua personalità ce la offre il Corriere Veneto dell’8 luglio 1945 che, dando notizia della sua unanime elezione a rettore di Ca Foscari titolava: Torna con Gino Luzzatto il Maestro, Maestro di scienza, di rettitudine, di bontà: egli chiude una lunga parentesi oscura del nostro massimo istituto di cultura, nel quale riporta la luce della sua intemerata figura.
Si tratta di parole che segnano il contrappasso di quelle pronunciate nel 1938 dall’allora Rettore Agostino Lanzillo, il quale a valle dell’esclusione dei docenti ebrei dall’università osservava: “Non intendo addentrarmi nella trattazione del problema che viene quotidianamente ed eloquentemente illustrato, ma se qualcuno di voi avesse ancora una qualche forma di sentimentalismo fuori posto, sarà bene che questo qualcuno ricordi che una fede che si abbraccia non si discute e che non si può dimenticare il giuramento che lega a questa fede: Giuro di eseguire senza discutere gli Ordini del Duce”.
E’ una dichiarazione che ci fa rabbrividire e che contiene in nuce l’essenza del dramma che ha portato alla tragedia: la cultura totalitaria e la rinuncia ad esercitare la libertà di coscienza in nome di una fedeltà cieca ed ottusa: la libertà di coscienza viene letteralmente cancellata in nome della obbedienza ad una visione totalitaria della realtà.
Del resto anche il rettore dell’Università di Padova, Carlo Anti, mostrava, nel discorso inaugurale dell’anno accademico 1938/1939, entusiastica adesione alla svolta razziale del regime e si mostrava poi solerte nella sua rigorosa e pronta applicazione.
Nel suo celebre Il secolo breve Eric Hobwswan acutamente osserva che le più grandi crudeltà del XX secolo sono state le crudeltà impersonali delle decisioni prese da lontano, nella routine del sistema operativo, soprattutto quando potevano essere giustificate come necessità operative sia pure incresciose.
Perfettamente in linea con quanto l’illustre storico afferma essere avvenuto in Germania (e poi in Italia negli anni della Repubblica sociale aggiungiamo noi) ove coscienziosi burocrati che avrebbero certo trovato ripugnante condurre in prima persona al mattatoio gli ebrei affamati, potevano studiare con un senso assai tenue del proprio coinvolgimento personale gli orari ferroviari che regolavano l’afflusso costante dei treni della morte ai campi di sterminio polacchi, così gli Illustri – si fa per dire – rettori vedevano nell’adeguarsi alle leggi razziali l’esigenza di soddisfare una apparente legalità formale, frutto di una volontà superiore che era necessario realizzare.
Con curiosa ma non casuale simmetria rispetto a chi traeva vantaggio dalle leggi razziali per appropriarsi di cattedre e di altri vantaggi che l’esclusione degli ebrei metteva a disposizione di fosse disposto ad approfittarne, Luzzatto, escluso dall’università e dai ruoli di rilievo in cui il suo alto ingegno lo aveva proiettato, si mette al servizio dei suoi correligionari bisognosi e nel 1938 accetta di occuparsi della scuola ebraica istituita per assicurare un’istruzione agli ebrei esclusi dalla scuola pubblica.
E stato scritto che “la fratellanza con gli ebrei in Luzzatto, agnostico in religione, era nata o assai più intensamente avvertita, solo nell’ora della persecuzione”.
A fronte delle orribili leggi razziali nella Comunità ebraica Luzzatto vedeva come essenziale la solidarietà con quanti “considerandosi buoni cittadini italiani senza rinunziare all’orgoglio di sentirsi e conservarsi ebrei seppero mantenere di fronte al fascismo un atteggiamento indipendente e dignitoso”.
Se ciò come non vi è ragione di dubitare risulta effettivamente vero, possiamo allora affermare che il Prof Luzzatto ha fatto perfetta applicazione, e nel momento più difficile, del principio enunciato nel Talmud secondo cui Israel arevim se ba se: ogni ebreo è responsabile per tutti gli altri, principio che la sua alta coscienza sociale e civile gli ha fatto avvertire nel momento del pericolo.
È la conferma che a fronte di chi alle leggi razziali, che escludevano gli ebrei, ha dato puntuale, spesso entusiastica esecuzione arrivando ad approfittarne personalmente, vi è stato chi a seguito di quell’ingiustizia ha sentito come più acuta e doverosa l’esigenza di solidarietà e sottolineato con la sua una valore essenziale: la scuola e la formazione di uomini non solo istruiti, ma anche profondamente permeati dal risultato della Tradizione culturale, è l’indispensabile strumento non solo per dare a chi la frequenta prospettive di inserimento futuro nel mondo del lavoro ma anche, ed allo stesso tempo, l’unico strumento per cercare di migliorare la società nel suo complesso.
Il tema del rapporto tra scuola e società è lo stesso anche oggi e affermarlo nel giorno della Memoria mi pare importante, perché il futuro della nostra società largamente dipende dalla possibilità di avere una scuola che sia assieme attenta alle diverse identità presenti nella società ma anche capace di affermare senza tentennamenti, nei confronti di tutti, quei valori che compongono una ormai sedimentata base culturale Italiana ed Europea, di cui sono parte essenziale tanto la libertà di affermazione del proprio pensiero quanto il rispetto, ci piaccia o meno, dell’altro.
Detto ciò devo, dopo aver doverosamente ringraziato il Comune, ed i diversi enti promotori della Giornata mi dispiace dover segnare la seconda parte del mio intervento con una amara constatazione.
Non posso fare a meno infatti di dire oggi, qui, nel luogo deputato dalla Comunità Veneziana a segnare la giornata della Memoria voluta con una legge dello Stato a ricordo delle leggi razziali, della deportazione degli ebrei nonché dell’eroico comportamento, quasi sempre accompagnato dal sacrifico della vita, di coloro che con lucida coscienza si opposero alla barbarie ed al genocidio degli ebrei, che nel 2015, a distanza di 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, in Europa accade ancora, quello mai avremmo creduto, e cioè che alcuni Ebrei siano uccisi perché tali.
I recenti fatti di Parigi sono la triste ma non esclusiva (Tolosa 2012, Bruxelles 2014) evidenza di questa constatazione e sarebbe impossibile per un rappresentante di una Comunità ebraica tacere questa grave realtà.
Se oggi celebrassimo una liturgia pubblica in ricordo delle vittime di un tempo senza dirci cosa succede oggi certo tradiremmo lo spirito della legge istitutiva e cancelleremmo lo scopo della Giornata della Memoria la cui funzione è quella di fortificare la coscienza critica come strumento di preservazione della società come casa comune di tutti.
Proprio per questo dobbiamo oggi denunciare senza tentennamenti il silenzio imbarazzato di molti sui morti ebrei di Francia.
Questo silenzio significa voltarsi dall’altra parte e non vedere quello che è evidente e cioè che se cadono delle persone che chiedono solo di vivere la propria identità in pace e di poter andare a comprare cibo kasher senza dover morire, è il modello di società pluralista ad essere, magari da sparuti gruppi oltranzisti, ma comunque da soggetti organizzati e che vogliono radicalizzare le posizioni, creare spaccature profonde, propagare l’incendio all’intera casa comune, messo in discussione.
Ciò non significa che non ci siano più che solidi anticorpi e che non si debba avere fiducia. Noi Ebrei abbiamo fiducia: nella Istituzione Repubblicana e nei suoi esponenti che sentiamo, mi riferisco come Veneziano particolarmente a quelli locali, particolarmente vicini, sensibili ed attenti, alle forze dell’ordine che di cui avvertiamo il partecipato quotidiano sostegno, ai tanti cittadini che sentiamo consapevoli che stiamo parlando, ancora una volta, di un problema di tutti.
È per questo, e non certo per far piacere a noi, che non possiamo voltare lo sguardo e fare finta di nulla e perché è la stessa legge istitutiva della Giornata della Memoria che impegna tutti a riflettere non solo sulla barbarie che è stata, ma anche e soprattutto sul pericolo che in prospettiva viene da una coscienza critica non esercitata, sui meccanismi di rimozione, in omaggio ad una presunta necessità di evitare conflitti immediati, di fenomeni che possono almeno in prospettiva, se non adeguatamente contrastati, mettere in crisi la società nel suo complesso.
Certi che la resistenza non possa avvenire solo sul piano della pubblica sicurezza, che pure deve essere garantita, ma anche sul piano delle politiche culturali e sociali, con questo spirito siamo qui a segnare il giorno della memoria facendo riferimento ad esempi concreti in cui la lucida percezione della difficoltà e della drammaticità di una situazione non ha mutato la convinzione che il modello da contrapporre alla violenza, sia quello nella fede dell’uomo, nella possibilità di costruire, attraverso l’istruzione e la conoscenza un futuro per ciascuno.
La convinzione che siamo chiamati a riaffermare è quasi ovvia: e cioè la possibilità di mantenere, attraverso diversi strumenti tra cui la scuola e l’università, cui Luzzatto ha dedicato il suo illustre impegno di una vita, una società laica in cui, lasciata una prospettiva difensiva ed ogni tentativo di totalizzazione le diverse identità si aprono ad un confronto improntato al rispetto, alla pacifica convivenza.
Questo è un valore che dopo fine della seconda guerra mondiale non vorremmo più sentire messo in discussione e quindi questa la prospettiva che siamo chiamati a preservare.
(1 febbraio 2015)