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L’Europa ha dimezzato la propria popolazione ebraica dal 1960 ad oggi: gli ebrei lasciano l’Europa”. Questa affermazione, pur nella sua drammatica verità, contiene elementi storicamente poco limpidi che andrebbero analizzati per non rischiare di fuggire le nostre responsabilità come singoli, come comunità e come popolo. ‎Prendiamo, per esempio, la Comunità ebraica di Napoli alla quale ancora sono iscritto e usiamola come campione, osservando il suo sviluppo demografico dal 1960 ad oggi.
Da semplice rabbino curioso registro il dato che nel 1965 gli iscritti alla comunità erano circa 500. Quanti hanno lasciato Napoli per Israele dagli anni Sessanta ad oggi? Non più di venti persone, in questo modo gli iscritti diventano 480. Quanti, in questi stessi anni, hanno lasciato Napoli per vivere in altre città italiane o altri paesi che non siano Israele? Tra le 60 e le 80 persone. In questo modo il numero gli ebrei residenti in città scende a 400 persone, sebbene molti di quelli che vivono altrove restano iscritti alla comunità d’origine.
Altri ebrei arrivano a vivere a Napoli da altri luoghi del mondo, altri iscritti diventano tali attraverso la scelta della conversione, tutto questo per darci oggi il risultato di circa 180 ebrei iscritti alla comunità, ma con una popolazione ebraica di 140/150 residenti in città. Se sottraggo ai 400 del passato i 150 attuali, ottengo il numero di 250 ebrei che mi sono sfuggiti durante questa sommaria osservazione. È ovvio che io debba tenere conto dei decessi, ma dovrei anche tenere conto dei matrimoni, delle nascite e del ricambio generazionale che avrebbe dovuto fornirmi altri numeri, dati i 400 ebrei residenti in città negli anni tra il 1965 ed il 1975. Ci sono 250 ebrei che non hanno lasciato l’Europa e a volte non hanno nemmeno lasciato la loro città natale ma che comunque sono un elemento che ha scelto di partecipare alla depauperamento della popolazione ebraica europea. Ebrei che con altri numeri possono essere paradigmi di storie simili in molte altre comunità ebraiche d’Italia e d’Europa. Ebrei che pongono a noi stessi, ai rabbini, ai presidenti di comunità, ai consiglieri, agli educatori e a tutte le istituzioni ebraiche, domande esistenziali alle quali dovremmo rispondere con responsabilità, senza allarmismi e con serena onestà, tenendo sempre presente da dove veniamo, dove andiamo come singoli e come popolo, senza tralasciare nessuna analisi e, per chi crede, tenendo conto davanti a Chi renderemo conto. (Pirkè Avot 3,1)

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino

(27 febbraio 2015)