Esilio e verità

Francesco Moisés BassanoAl di là di comprensibili preoccupazioni e allarmismi, e in riferimento alle ultime considerazioni demografiche, è improbabile che l’ebraismo europeo sia destinato in un futuro prossimo ad estinguersi totalmente. Indubbio di questo passo, che esso finirà per assottigliarsi, per ridurre i suoi numeri e i suoi servizi comunitari e perdere così la sua vivacità, ma del resto, il tutto è purtroppo parte di una più gigantesca perdita che risale con alti e bassi, sino all’inquisizione e poi soprattutto ai pogrom, alla Shoah e al secondo dopoguerra. Come qualcuno ha sottolineato, l’ebraismo e quindi ‘Am Israel, è poeticamente come il roveto visto da Mosé al Chorev, che arde ma non si consuma mai (Shemot 3:2-4), che nonostante le innumerevoli persecuzioni è ancora in vita e non cessa di dare i suoi frutti e il suo contributo al resto dell’umanità. Vi sono ebrei che continuano a vivere in paesi apparentemente ancor più “inospitali” e instabili di quelli europei come in alcuni stati nordafricani o dell’Asia centrale, e vi sono paesi dove nonostante la totale espulsione e gli stermini del passato, ha avuto luogo quasi una rinascita ebraica, come prima in Spagna e in Portogallo, e successivamente in Polonia e in Germania – l’unico paese europeo, almeno sino a pochi anni fa, dove la popolazione ebraica era in crescita – . La storia ebraica non è mai stata del tutto lineare, punteggiata in duemila anni da arrivi e partenze, da comunità estinte e da risvegli, e anche la creazione dello Stato d’Israele, per quanto la sua popolazione sia fortunatamente in aumento, non ha mai segnato un punto di rottura definitivo con la diaspora, incentivando anzi al suo rinnovamento. Un fenomeno emblematico e spesso poco affrontato, è quello della Yerida, la “discesa” da Eretz Israel, riguardante soprattutto giovani israeliani che emigrano nell’Europa dei propri antenati o verso il Nordamerica, di rado per ragioni ideologiche ma piuttosto con fini affettivi, esplorativi e professionali come in qualunque altro brain storming.
Il Guardian, dopo gli ultimi attacchi di Parigi e prendendo atto di un aumento degli episodi di antisemitismo in UK, ha aperto un sondaggio sul proprio sito, diretto agli ebrei britannici con la domanda “Are you planning on emigrating to Israel?”. Tra le interviste raccolte in un articolo successivo, oltre ad una divergenza di propositi riguardo alla decisione di un’eventuale Aliyah, è interessante soprattutto la riflessione che ne scaturisce sul significato e la rappresentazione per ognuno degli intervistati dello Stato d’Israele e così della Galuth.
Domande le quali, almeno interiormente, rivolgo anche a me stesso, e che mi incuriosirebbe porre anche a chi nella mia stessa condizione, è diviso tra diverse origini familiari e contemporaneamente porta coscienza di ciò. È sorprendente pensare che esiste uno stato al mondo, conosciuto soprattutto tramite il cinema e la letteratura, dove grazie alla Legge del Ritorno, è possibile ottenere una cittadinanza, senza per questo essere necessariamente ebrei secondo l’Halakha, ma piuttosto nella condivisione o nella “connessione spirituale” – riprendendo Agnes Heller – di/con un patrimonio ebraico comune, scandito da peregrinazioni così come sovente da persecuzioni. Rassicurante sapere che qualunque strada e deviazione prenderà il proprio paese natio, vi sarà sempre un luogo disposto ad accoglierti e a garantire la tua sicurezza. Su questo presupposto almeno per il momento, continuerò a sognare e a custodire Gerusalemme nel mio cuore. Forse, in sintonia con numerosi pensatori contemporanei, una sorta di identità ebraica, almeno da un punto di vista secolare, risiede anche nell’eterogeneità della propria cultura e della propria provenienza, nell’essere costantemente stranieri e dunque nel percepirsi sempre come minoranza (anche all’interno della minoranza stessa). “La verità è sempre in esilio”, scrisse Baal shem Tov, esilio come ricerca di una consapevolezza di sé, per poi salire finalmente a Sion.

Francesco Moises Bassano

(27 febbraio 2015)