Purim 5775 – Quando la gioia è terapeutica

sacksLa festa di Purim è alle porte, l’ultima corsa per la ricerca della maschera più originale è iniziata. Stasera le sinagoghe del mondo intero si riempiranno per leggere la meghillah di Ester, il libro che ripercorre le vicende degli ebrei di Persia che, perseguitati da Aman (il prototipo ante litteram dell’antisemita doc), si salvarono grazie al sacrificio della regina Ester e di suo zio Mordechai.
Si celebra con gioia, cibo e vino la salvezza e il gioco delle sorti: la fine che Aman aveva previsto per gli odiati ebrei di Susa ricadde su di lui e per ricordarlo ci si allontana dalla routine e si indossano vesti altrui. A diventare protagoniste indiscusse della lettura della Meghillah saranno le raganelle, pronte a scatenare rumori ogni volta che il nome di Aman verrà pronunciato.
Ma perché la gioia contraddistingue proprio Purim? A rispondere è il rav Jonathan Sacks, ex rabbino capo del Commonwealth e autorità dell’ebraismo europeo, con una nuova lezione: “Il Talmud – spiega – insegna che durante tutta la durata di Adar, il mese ebraico in cui cade Purim, bisogna aumentare gradualmente la gioia. Ma perché la simcha, la gioia, deve durare un mese intero se gli eventi che andiamo a celebrare si svolsero in tre giorni, dal 13 al 15 di Adar? Capiamo bene perché gli ebrei di quel tempo provassero gioia; il decreto che li condannava a morte era caduto e i nemici puniti, l’euforia era alle stelle”.
“Ma perché – prosegue il rav – questa gioia deve essere perpetua mentre ricordiamo questi eventi? Quello che si celebra infatti è la non riuscita del primo genocidio del popolo ebraico (il secondo se si conta anche il decreto del faraone ai tempi di Mosè che prevedeva l’uccisione dei neonati maschi). Ma siamo sicuri che la gioia sia l’emozione giusta da provare? Non dovrebbe essere più che altro il senso di sollievo?”.
Rav Sacks sottolinea: “Mi sembra che la gioia che si prova durante il mese di Adar sia un sentimento diverso da quello che conosciamo, sia una ‘gioia terapeutica’. Il genocidio degli ebrei dell’antica Persia era stato sventato, ma comunque qualcuno lo aveva precedentemente ideato e cercato di attuare. Questo ha reso vulnerabili gli ebrei, è stato un primo vero trauma. E come hanno risposto gli ebrei? Con gioia e celebrazioni. La paura, il trauma si sconfigge con la gioia. Conquistiamo il terrore festeggiando. Ci facciamo regali a vicenda, banchettiamo, ci mascheriamo, beviamo più del solito e quando sentiamo il nome di Aman facciamo rumore e lo prendiamo in giro. Proprio perché la storia di Purim era un affare molto serio, rispondiamo con poca serietà e in questo modo dichiariamo ad al alta voce: ‘Non ci fate paura!'”.
La storia ebraica, osserva il rav, si riassume in tre frasi: “Ci hanno provato a distruggere. Non ci sono riusciti. Mangiamo!”.
Purim è allora l’antidoto alla paura dell’antisemitismo: “Alla luce degli ultimi drammatici eventi e dell’attualità preoccupante – conclude rav Sacks – Purim insegna che essere ebrei significa rifiutare di essere impauriti”. Ed è così, tra raganelle rumorose come vuvuzelas durante i mondiali di calcio, nuove maschere da sfilata, orecchie di Aman da mangiare e brindisi non stop, che la gioia diventa la terapia contro il terrore.

Rachel Silvera twitter @rsilveramoked

(4 marzo 2015)