Purim, una risata per sconfiggere i nostri nemici

annasegreChi come me, ha insegnato in una scuola ebraica, quando si avvicina Purim non può fare a meno di immaginare spunti per ipotetiche recite, scenette o sketch, o magari un testo per qualche inserto semiserio di un giornale ebraico.
E così ogni anno in questa stagione mi ritrovo a riflettere sugli spunti di attualità presenti nella Meghillat Ester, possibilmente anche divertenti: il femminismo, i pericoli insiti nei leader politici troppo abituati all’adulazione, il coraggio di chi rifiuta di comportarsi come la massa. O, anche, la diaspora, l’assimilazione, l’identità ebraica prima nascosta e poi orgogliosamente dichiarata.
Quest’anno mi è venuto in mente che un altro spunto niente male per attualizzare la storia potrebbero essere i rapporti istituzionali all’interno del mondo ebraico, su cui i cenni fugaci della Meghillà lasciano ampio spazio alla fantasia. Eccomi dunque a immaginare l’Unione delle Comunità Ebraiche Persiane e i problemi organizzativi di un parlamentino che doveva riunire i rappresentanti delle 127 province del regno di Achashverosh; come avrà fatto la newsletter dell’UCEP a dar conto di tutte le manifestazioni nelle 127 province elencando dettagliatamente per ciascuna tutti i presenti e le loro cariche? E poi la newsletter avrebbe ospitato gli interventi di vari rabbini, di alcuni illustri storici; l’indagine di un importante demografo sulla persistenza dell’antisemitismo in Persia anche dopo l’impiccagione di Haman; la messa in guardia di uno storico sociale delle idee contro il pericolo di trasformare Purim in un vuoto rituale senza una puntuale riflessione storico-culturale; e, soprattutto, un accorato intervento del direttore in difesa di Mordechai e della Regina Ester contro le vergognose voci irresponsabilmente messe in giro su di loro in qualche social network.
La Meghillà, però, parla soprattutto di antisemitismo, e a leggere il testo in questi giorni passa un po’ la voglia di scherzare. Haman è un personaggio profondamente inquietante e il suo discorso sintetizza in poche frasi tutti i principali argomenti degli odiatori degli ebrei nei 2500 anni successivi, compresi quelli di oggi. L’idea di un massacro totale degli ebrei, uomini, donne e bambini, preceduto da undici mesi di campagna diffamatoria è decisamente angosciante. Eppure da 2500 anni esiste la tradizione di riderci sopra. Anche nei momenti bui. Perché gli ebrei non hanno mai rinunciato a questa strana festa dall’allegria un po’ sopra le righe?
Si possono dare tante risposte: forse un bisogno di evasione, forse il desiderio di esorcizzare il presente con una vicenda a lieto fine (che poi tutto sommato non è neppure così lieto, se consideriamo che la storia si conclude con il re sempre tranquillamente sul suo trono, che non si assume neanche una briciola di responsabilità per il proprio decreto e non fa nulla, personalmente, per annullarlo, limitandosi a concedere agli ebrei il diritto di arrangiarsi e difendersi da soli). Tralascio volutamente le spiegazioni “storiche” che legano la festa a riti pagani preesistenti perché, oltre ad essere ovviamente inaccettabili da un punto di vista ortodosso, mi sembrano comunque irrilevanti: qualunque cosa fosse Purim prima di Purim resta il fatto che si tratta di una festa che da più di due millenni fa parte a pieno titolo della liturgia ebraica con tutte le sue usanze sopra le righe, compresa quella di ubriacarsi, e la sua vocazione alle risate.
I nostri Maestri hanno deciso consapevolmente che almeno una volta all’anno è giusto, anzi doveroso ridere. E non ridere dimenticando gli antisemiti, ma ridere proprio degli antisemiti. Perché, nonostante tutto, ridere di loro è un modo per combatterli. Forse non è un caso se – come abbiamo visto a Parigi e a Copenaghen – le stesse persone che se la prendono con gli ebrei se la prendono anche con chi ama ridere e far ridere. Forse la risata può essere un mezzo per combattere l’idolatria.

Anna Segre, insegnante

Pagine Ebraiche Marzo 2015

(5 marzo 2015)