…elezioni

La netta vittoria elettorale del Likud, guidato con indiscutibile bravura da Benyamin Netanyahu, potrebbe tradursi in una storica sconfitta per lo Stato d’Israele.
Si pensava che il voto sarebbe stato aggiudicato sulla piattaforma dei problemi economici e sociali.
Su questi temi, il Likud non aveva nemmeno sprecato il tempo di pubblicare il proprio programma elettorale, sostituito dalla pregnante dichiarazione dell’ineffabile Bibi: “Io non mi occupo del tenore di vita, io mi occupo della vita”.
Le cose sembravano mettersi male, ma con una grande mobilitazione nelle ultime due ore del voto Netanyahu è riuscito a portare alle urne una notevole quantità di assenteisti e scontenti, scompigliando così le proiezioni di tutti i sondaggisti che avevano chiuso le loro stazioni proprio nel momento in cui partivano le carovane dei ritardatari allertate da centinaia di migliaia di telefonate registrate e di SMS.
In realtà, al di là dell’indiscutibile trionfo elettorale personale di Bibi – che si conferma come il miglior attore politico del paese – se consideriamo i maggiori blocchi di partiti, rispetto al 2013 gli spostamenti del voto sono minimi: il partito arabo unificato guadagna 2-3 seggi rispetto alla somma delle sue componenti, il centro-sinistra ne guadagna 1-2, la destra ne guadagna 1, il centro resta immutato, e i partiti religiosi perdono 5 seggi (di cui 4 di Eli Ishay se è confermata la sua eliminazione dopo aver solo sfiorato, ma non raggiunto,nla soglia minima del 3,25%).
È avvenuta dunque soprattutto una redistribuzione del voto all’interno dei maggiori blocchi e non fra i diversi blocchi.
La composizione del nuovo governo Netanyahu non è semplice a causa dell’eccessiva frammentazione del sistema dei partiti. Con una coalizione dei partiti nazionalisti e religiosi, Bibi e il Likud più Bennett più Liberman più Shas più Yahadut Hatorah arrivano a 57 seggi sui 61 necessari.
Per formare il governo è cruciale l’adesione di Moshe Kahloun, l’ex falco del Likud che ha impostato con intelligenza tutta la sua campagna sui temi dell’economia e della giustizia sociale e che dispone di 10 seggi. Si tratta di vedere dunque quale sarà il prezzo di questa adesione, oltre al portafoglio del Tesoro che gli è già stato promesso ufficialmente da Netanyahu. Se sarà così, mentre il mondo va avanti, Israele torna indietro di due anni.
Il nuovo Netanyahu negli ultimi giorni ha rinnegato il discorso programmatico pronunciato all’Università Bar Ilan sulla possibilità dei due stati, ha chiuso ogni opzione politica nei confronti del processo di negoziazione con i palestinesi, ha definito il Likud come partito istituzionale di governo, ha accusato oscure forze esterne in tutto il mondo di intromissione nel tentativo di sottrargli il potere, ha portato il paese sullo scivolo del totale isolamento internazionale, e ha delegittimato il movimento sionista progressista definendo “voragine incolmabile” la distanza dal centro moderato e dai laburisti.
Tutti questi sono notevoli segnali di un cambio di passo dirigenziale sul piano dei contenuti, mentre sul piano del cerimoniale si notano i primi segni di una trasformazione della democrazia in una specie di principato con tanto di dinastia e di corte, almeno a giudicare dai tre vistosi baci alla consorte Sara sul podio del salone della celebrazione elettorale, e dal ringraziamento pubblico alla saggezza dei propri figli.
La cultura della spaccatura ideologica in un regime di culto della personalità costituisce una transizione preoccupante in una società che ha bisogno urgente di riforme sociali e istituzionali e di arrestare la crescente erosione nei propri rapporti internazionali.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme

(19 marzo 2015)