Bibi e la questione palestinese
No a uno Stato palestinese. Anzi sì, ma non a queste condizioni. Dopo la vittoriosa elezione di martedì scorso, il primo ministro Benjamin Netanyahu sceglie un’emittente americana per la sua prima intervista post elettorale. E il messaggio è diretto al presidente Usa Barack Obama: “Non sono a favore di un unico Stato, continuo a sostenere i due Stati e non mi sono rimangiato il discorso di Bar Ilan ma affinché ciò possa avvenire le condizioni devono mutare”, le parole del premier, riportate da Maurizio Molinari su La Stampa, e dirette a Washington. Un significativo passo indietro rispetto alle parole pronunciate da Netanyahu in campagna elettorale: “con me premier non vi sarà mai uno Stato Palestinese”. All’interno del suo governo, spiega Molinari, sono in molti però a pensarla così e il premier – una volta formato il nuovo esecutivo – dovrà riuscire a mediare con i falchi della sua maggioranza per non perdere il sostegno Usa. Intanto Washington sta preparando le contromisure diplomatiche contro la versione di Netanyahu più radicale (quella elettorale del no alla soluzione dei due Stati, rifiuto considerato un errore da Thomas Friedman del New York Times, oggi su Repubblica): nelle scorse ore la Casa Bianca ha minacciato di votare il riconoscimento dello Stato palestinese all’Onu (La Stampa).
Tensioni Usa-Israele, chance per i palestinesi. “Il capo dei negoziatori palestinesi, Saeb Erakat, è già pronto a sfruttare la nuova situazione, intensificando la sua attività diplomatica in sede Onu”, così Federico Rampini su Repubblica spiega come il gelo tra Obama e Netanyahu potrebbe favorire i palestinesi in campo internazionale, con Israele che rischia di non trovare più l’appoggio americano al Consiglio di Sicurezza Onu per evitare che passi la risoluzione, promossa dai paesi arabi, “che chiedeva il ritiro di Israele dalla Cisgiordania entro tre anni”. E mentre riprende il gioco diplomatico tra americani, israeliani e palestinesi, in Israele la sinistra mastica amaro: “La nostra speranza infranta”, il titolo dell’editoriale dello scrittore israeliano A.B. Yehoshua su La Stampa.
Torino, Comunità ebraica in piazza contro il terrorismo. Sono salite a quattro le vittime italiane dell’attentato terroristico di Tunisi. A loro, come a tutti coloro che hanno perso la vita nella strage di mercoledì, sono dedicate diverse manifestazioni in tutta Italia. “La minaccia del terrorismo, che tocca ormai tutti mira a distruggere ogni possibilità di civile convivenza tra i popoli e le fondamenta stesse della nostra democrazia”, ha dichiarato Dario Disegni, presidente della Comunità ebraica di Torino, scesa in piazza ieri per partecipare alla manifestazione indetta dal Comune torinese contro il terrorismo. “Dobbiamo perciò reagire tutti con la massima determinazione affinché le forze dell’oscurantismo non riescano a prevalere né a insinuarsi nelle nostre vite”, ha ribadito con forza il presidente Disegni, cui dichiarazioni sono riprese oggi da Avvenire (in un passaggio il giornale definisce erroneamente il presidente “rabbino”).
Gentiloni, tra terrorismo islamico e voto in Israele. Intervistato dal Messaggero, il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni parla della minaccia terroristica dei fondamentalisti islamici, che mercoledì ha sconvolto la Tunisia, attaccata – spiega il ministro – perché simbolo di democrazia. Per il capo della Farnesina il contrasto al terrorismo di matrice islamica passa per la pacificazione della Libia. Tra i punti toccati nell’intervista anche il voto in Israele. “Un ministro degli Esteri non considera buone o cattive le notizie sui risultati elettorali di un Paese amico – afferma Gentiloni riguardo alla vittoria di Netanyahu – La buona notizia è che Israele è una grande democrazia e i suoi risultati elettorali vanno rispettati. Detto questo, il governo italiano ritiene che l’unica soluzione credibile della crisi israelo-palestinese consista nella sicurezza di Israele insieme alla nascita di uno Stato palestinese. Questa non è oggi l’opinione di Netanyahu. Noi rispettiamo il voto ma non rinunciamo alla nostra posizione”.
L’Occidente e l’attentato a Tunisi. Editoriale polemico di Pierluigi Battista sul Corriere della Sera contro chi ha sempre ricondotto la responsabilità del terrorismo internazionale agli errori dell’Occidente, contro chi sostiene che “è colpa nostra se ammazzano gli ebrei in una pizzeria di Gerusalemme e di Tel Aviv, che è colpa nostra se irrompono in un dibattito in Danimarca e danno l’assalto alla Sinagoga di Copenaghen”. Ma “adesso che colpa nostra esattamente sarebbe se hanno compiuto un eccidio in un museo di Tunisi?”, la domanda di Battista. Su La Stampa, invece, Gianni Riotta riassume i conflitti internazionali e parla di un mondo in confusione, in cui il disordine regna sull’ordine, e scrive che “La prima guerra globale sarà vinta con grande e complessa fatica, impegno militare, economico, diplomatico, ideale, religioso”.
“L’altra faccia degli zingari”. Così titola l’editoriale di Stefano Jesurum su Corriere Sette che sottolinea come la Commissione del Consiglio d’Europa contro razzismo e intolleranza abbia bacchettato l’Italia, ribadendo “il nostro forte ritardo nell’attuazione degli impegni presi sull’inclusione dei rom”. “Nell’ignoranza che ci contraddistingue un po’ tutti, nell’immaginario collettivo ricco di pregiudizi, – sottolinea Jesurum – la “nazione errante” è sovrapposta all’immagine di donne che chiedono l’elemosina con i figli in braccio, baracche e roulotte ammassate, uomini che trascinano carrelli carichi di materiale ferroso. Chi sa, invece, che in Italia almeno 130 mila rom e sinti vivono in abitazioni convenzionali, svolgono un lavoro regolare e pagano le tasse?”
La libertà di stampa e i suoi limiti. “La libertà di stampa è un potere. E in democrazia, come diceva Montesquieu, un potere senza limiti non è legittimo – afferma in un intervista a Repubblica lo studioso Tzvetan Todorov – Non dimentichiamo che, nel XIX secolo, il giornale dell’antisemita Edouard Drumont si chiamava La libre parole per lui libertà era denigrare gli ebrei. Ora in Europa i partiti xenofobi invocano la libertà di stampa per poter dire impunemente tutto il male dei musulmani. Quando difende la libertà di stampa, bisognerebbe sempre interrogarsi sul rapporto di potere tra chi l’esercita e chi la subisce”. Todorov sarà protagonista domenica a Udine di un dialogo pubblico con il direttore di Repubblica Ezio Mauro, nell’arco della manifestazione La Repubblica delle Idee (presentata dallo stesso Mauro sul suo giornale) dedicata a riflessioni sulla libertà e la questione dello scontro di civiltà .
Daniel Reichel
(20 marzo 2015)