Qui Roma, Master UCEI – A confronto sul Medio Oriente

Schermata 03-2457107 alle 12.38.31“C’è un insegnamento che porto sempre nel cuore e me lo ha dato il celebre giornalista e scrittore Arrigo Levi. Quando avevo appena iniziato la mia carriera, mi disse: ricordati, se davvero vorrai fare questo lavoro, sappi che non si ‘fa’ il giornalista, si ‘è’ giornalista. Ed è proprio così: chi si impegna in questa missione sa che non ci sono orari o confini prestabiliti: se c’è una storia bisogna inseguirla, non si può rimandare”. Con questo incipit il giornalista Maurizio Molinari, autore tra gli altri de “Il Califfato del terrore” (ed. Rizzoli), ha aperto la sua lezione al Master in Cultura e Comunicazione Ebraica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, ospite del direttore del dipartimento Informazione e Relazioni Esterne UCEI Emanuele Ascarelli.
Dopo aver fatto per anni il corrispondente dagli Stati Uniti, Molinari racconta la propria esperienza tra Israele e territori dell’Autorità palestinese: “Quando si è corrispondente bisogna fare da interprete e da vedetta. Spiegare ai propri lettori il clima che si regista e presentare loro i nuovi personaggi e movimenti che emergono. Fondamentale poi sfidare il pregiudizio; andare oltre le credenze popolari che un paese ha nei confronti dell’altro. Si deve scavare in profondità. Essere un giornalista in alcuni casi significa annullare te stesso per ascoltare gli altri, bisogna imparare a sorprendersi, abbandonare le proprie certezze e smontare le false conoscenze. Un bravo giornalista deve essere poi capace di lavorare in squadra e deve acquisire dell’umiltà intellettuale”.
“Carl Bernstein, il giornalista che ha tirato fuori il caso Watergate – continua – mi ha insegnato che spesso le risposte che emergono sono diverse dalle notizie che si cercavano”.
Il pregiudizio che coinvolge sia gli Stati Uniti che Israele, spiega Molinari, rende i due paesi molto simili, legati dal modo in cui sono nati: entrambi vengono alla luce da un sogno (quello americano e sionista) e aggregano immigrati provenienti da tutto il mondo.
“Trasferirmi in Israele e avere un ufficio anche a Ramallah, ha fatto crollare qualsiasi verità che credevo assoluta e mi ha fatto tremare i polsi” racconta Molinari. Un esempio? “La città di Ramallah, che io mi aspettavo disastrata e arretrata, è invece un crogiuolo di innovazione e cultura. C’è un polmone vibrante di giovani imprenditori palestinesi che si batte per la corruzione e che non vuole il male degli israeliani e nemmeno la guerra. Ci sono spa, teatri, caffè culturali; è una sorta di reinterpretazione di Tel Aviv. Nessuno di loro però crede nella soluzione dei due Stati, vogliono uno Stato binazionale. Un’altro luogo che ha fatto riconsiderare le mie conoscenze è l’insediamento israeliano di Ely dove c’è una scuola religiosa per i futuri soldati. La mia curiosità per il posto è nata dopo aver conosciuto le madri dei tre ragazzi rapiti e uccisi da Hamas, tre donne che non covavano odio e che avevano a cuore l’unità nazionale. Loro mi hanno permesso di conoscere Ely, una città dove gli abitanti non sono dei fanatici anti-arabi ma amano la loro dimensione famigliare e la terra. In conclusione, da entrambe le parti ci sono gruppi che vogliono la guerra, ma per la verità la maggioranza cerca la pace”.
Il giornalista entra poi nello specifico: “La Palestina è molto frammentata: Hebron è una città combattente in cui a fare da padrone è Hamas, Jenin è agricola, Gerico è una città cristiana e pacifica e Ramallah è sul modello di Tel Aviv. Ed è proprio la frammentarietà il problema più grande dei palestinesi, la mancanza di un accordo, la divisione in piccoli gruppi, che li allontana sempre di più da una dimensione nazionale”.
Maurizio Molinari introduce poi il tema dell’Isis: “Lo Stato Islamico è un pericolo anche per il nazionalismo palestinese: mentre loro cercano una identità nazionale, Isis combatte per eliminare i singoli paesi e creare un solo Stato in cui regni l’Islam. Eppure le frange più estremiste dei palestinesi subisce il fascino oscuro del Califfato: i terroristi che hanno assaltato la sinagoga di Har Nof a Gerusalemme hanno decapitato due delle quattro vittime, un particolare agghiacciante suggeritoli dalle barbarie dello Stato Islamico”.
Quale soluzione dunque? “Il terrorismo di oggi non è strategicamente perfetto come quello di Al Qaeda e ha trasformato in trincea tutto il mondo: proprio per questo è necessario che la prevenzione nasca dalle famiglie di potenziali futuri terroristi e che non si reagisca con senso di sconfitta: tutti possiamo fare qualcosa, come è stato detto in America dopo l’11 settembre: if You see something, say something, se vedi qualcosa di sospetto, dì qualcosa”.
“Il Califfato del terrore” è stato presentato in serata nel corso di un incontro al Teatro Italia organizzato dall’assessorato alle politiche giovanili della Comunità ebraica di Roma che ha visto l’intervento dell’autore, della direttrice di Huffington Post Italia Lucia Annunziata, del presidente della Comunità Riccardo Pacifici e di Claudio Graziano, capo di Stato Maggiore della Difesa, moderati dal portavoce comunitario.

Rachel Silvera twitter @rsilveramoked

(25 marzo 2015)