Il male d’Europa
Non so, sempre che esistano, quali e quanti aggettivi si potrebbero utilizzare per descrivere la sensazione di angoscia che ha lasciato in ognuno di noi, il disastro del volo Germanwings 9525, e la notizia della versione, adesso ufficiale, di come si sarebbe svolto realmente il suo schianto sulle Alpi dell’Alta Provenza. Ma se indagare il proprio e l’altrui inconscio è un’operazione senz’altro complessa o altrimenti impossibile, molto più accessibile è verificare la reazione che perviene da alcune testate o dalle voci “pubbliche” del nostro paese e dei social network. Qui tra chi si limita solo a sbattere il mostro in prima pagina, chi specula sulla nazionalità dell’attentatore, chi si esprime senza neanche sapere quale mezzo di trasporto sia stato coinvolto, chi come sempre non è ancora convinto della veridicità dei fatti – il complotto è ormai parte del quotidiano, dove ormai niente può essere troppo semplice, casuale o banale –, sembra emergere piuttosto l’imbarazzo e il timore di non sapere quali categorie interpretative utilizzare per esplicare una tragedia e un gesto di tale portata, non sapendo neppure quale appellativo attribuirle.
Tutto sarebbe stato forse più comprensibile, e meno ambiguo, come del resto era stato ipotizzato, se l’attentato fosse stato compiuto dal musulmano o dal jihadista di turno, non certo, dal tranquillo e pacifico vicino di casa tedesco. Ed è per ovviare a questa “anomalia”, che qualcuno ha già ipotizzato che Andreas Lubitz fosse in realtà un convertito all’Islam, proprio perché “l’Islam è soltanto una cultura di morte”.
Chissà magari un domani potrebbe affiorare anche questo, d’altronde rimangono ancora molti dubbi sulla personalità del copilota e sulle altre circostanze della vicenda, ma più realisticamente come la storia ha insegnato, la verità per tali eventi è sempre immediata, in caso contrario, più passerà il tempo è più essa diverrà, tra evanescenza delle prove e qualche silenzio, sempre più lontana e inarrivabile – disastri come quelli di Ustica o del Moby Prince l’hanno dimostrato.
A questo stadio, dovremmo riflettere dunque che forse recentemente siamo stati troppo occupati ad analizzare, a cercare di comprendere e condannare come giudici senza macchia, le aberrazioni di un mondo esterno e lontano da noi, trascurando, e senza più cercare di capire e criticare noi stessi e ciò che accade nelle nostre società, intorno e dentro di noi. Senza neppure riflettere ciò che inconsapevolmente abbiamo esportato all’altro, o talora assimilato. Relegando a unico male, l’Islam o l’Islam radicale, come se esso fosse l’unico germe che ha infettato negli ultimi tempi la sana e pura Europa, composta esclusivamente da gente tranquilla e per bene. Un Europa però, dove l’individuo vive sempre più nella propria sfera di vetro con all’interno il proprio malessere, divenendo estraneo e impenetrabile per chiunque altro, e con ciò restando anche più nascosto e imprevedibile rispetto al “nemico” ufficiale. Sotto questa alienazione e sotto questa forma di individualismo sfrenato, allora non dovrebbe stupire granché che in mezzo a noi ci siano anche degli Andreas Lubitz, senza che prima d’adesso ce ne fossimo mai accorti…
Francesco Moises Bassano
(3 aprile 2015)