Il presidente della Comunità ebraica belga
Bruxelles, Europa al bivio

serge rozenHa vinto a larghissima maggioranza, con il 92 per cento dei voti, Serge Rozen, neoeletto presidente del Comité de coordination des organisations juives de Belgique (Comitato di coordinamento delle Comunità ebraiche del Belgio). Il CCOJB è l’organo rappresentativo ufficiale che confedera le circa 40 organizzazioni politiche, culturali, educative, sociali, religiose e sportive del Belgio, e membro a sua volta del World Jewish Congress e dello European Jewish Congress. Succeduto a Maurice Sosnowski, in carica nell’ultimo quinquennio, Rozen, 62 anni, nella vita è ingegnere, ma è attivo nell’ambiente delle istituzioni ebraiche da molto prima della sua elezione. È infatti da tempo direttore della Fondazione Haim, che finanzia associazioni e organizzazioni ebraiche a Bruxelles. “Questo incarico – racconta a Pagine Ebraiche – mi ha permesso di entrare in contatto con questo mondo, di incontrare molte persone e fare molte esperienze. Ho potuto accorgermi del fatto che la situazione è sempre più difficile”. Da ciò nasce la sua volontà di dare un maggiore contributo.

È dunque questo che l’ha spinta a candidarsi?

La minoranza ebraica è molto piccola, e nell’agenda di un politico le sue istanze possono dunque diventare trascurabili. Se essa non fa valere i suoi diritti rischia che non vengano tenuti in considerazione, e per questo mi sono reso conto di quanto sia fondamentale portare avanti un dialogo costante con le autorità politiche.

Quali sono le priorità all’interno di tale dialogo?

In primo piano c’è sicuramente la sicurezza, e poi naturalmente la lotta all’antisemitismo. La mia percezione è che il fenomeno dell’antisemitismo sia stato trattato con troppo lassismo negli ultimi anni, e adesso abbiamo superato i confini. Ma più si lascia una situazione degenerare, più è difficile riprenderne il controllo. È dunque necessario applicare con più fermezza le leggi già esistenti, di cui il Belgio si è dotato in maniera forte. A fianco di questo, inoltre, è necessario portare avanti anche uno sforzo educativo, anch’esso troppo trascurato nell’ultimo periodo, in particolare tra i giovani e ancora maggiormente tra i giovani musulmani.

Quale atmosfera si respira in Belgio, in seguito all’attentato al Museo Ebraico di Bruxelles ma anche ai recenti attentati di Parigi?

È nella natura umana che con il passare del tempo diminuisca la paura, ma di certo l’atmosfera è ancora molto tesa. La presenza di militari armati di fronte a luoghi ebraici e non solo ha un effetto sullo spirito. Gli attacchi sono una minaccia che pesa, e molti cominciano a pensare che forse il Belgio possa non essere il luogo giusto dove vivere, come mostra la crescita del numero di aliyot.

A proposito di questo, cosa pensa dell’invito del premier israeliano Netanyahu rivolto agli ebrei europei in seguito ai tragici eventi parigini a trasferirsi in Israele?

È giusto che gli ebrei siano sempre attratti dall’idea di trasferirsi in Israele e far loro capire che vi sono sempre benvoluti è nel suo ruolo di primo ministro. Non lo era invece formulare un invito del genere nel momento in cui essi si sentivano più minacciati nella loro sicurezza, e credo che fosse anche un gesto in parte legato alla campagna elettorale di Netanyahu. È compito dello Stato proteggere gli ebrei ed essi non dovrebbero mai pensare di sentirsi più sicuri da qualche altra parte. Si può partire per perseguire un ideale o anche un futuro migliore dal punto di vista economico, ma la paura è una ragione inaccettabile.

Recentemente ci sono stati degli scontri all’Université Libre de Bruxelles (ULB) tra alcuni manifestanti per il movimento del BDS (Boycott, Disinvestment, Sanctions), che incita al boicottaggio dei prodotti israeliani e alcuni studenti appartenenti all’Union des Étudiants Juifs de Belgique (Unione studentesca ebraica belga). Quali misure devono essere prese per quanto riguarda il crescente fenomeno dell’antisemitismo nei campus universitari?

Mi sono messo in contatto con la dirigenza dell’ULB e sono stato rassicurato sul fatto che all’università atti o discorsi antisemiti non sono accettati. Però studenti e genitori hanno paura. Vi è chiaramente una sovrapposizione tra i concetti di “antisionismo” e “antisemitismo”. Teoricamente il senso è diverso, ma c’è stata qui una deriva che ha trasformato il significato delle parole. Gli avvenimenti dell’ULB hanno mostrato che si stigmatizzano delle persone per ciò che sono e non per le idee che difendono, e questo rientra chiaramente nella definizione dell’antisemitismo.

All’indomani delle elezioni politiche in Israele, che hanno confermato la leadership di Netanyahu, pensa che la situazione cambierà?

Nei paesi occidentali Netanyahu è percepito come incapace di portare avanti i rapporti con i palestinesi, ma in Israele, evidentemente, lo si percepisce invece come l’unico che può garantire sicurezza. Gli israeliani si sentono minacciati, hanno paura, per questo lo votano, e i paesi europei devono dunque cercare di rassicurarli dimostrando il loro sostegno.

Parlando invece di dialogo interreligioso, cosa pensa che debba essere fatto dalle Comunità ebraiche?

L’immigrazione è molto forte in Belgio, la cui società si caratterizza dunque come fortemente multiculturale. Naturalmente ci deve essere la volontà di vivere insieme, sempre rispettando le leggi dello Stato. Tuttavia per ragioni che non conosco la comunità musulmana sembra restia a integrarsi, e le leggi religiose assumono più importanza di quelle dello Stato. Credo che questo abbia anche giocato un ruolo nei rapporti con la Comunità ebraica, così come la difficoltà di dialogo sul conflitto israelo-palestinese potrebbe contribuire a esacerbarli.

Francesca Matalon, Pagine Ebraiche Aprile 2015

(7 aprile 2015)