La Memoria e i suoi laboratori

tobia zeviIn giro per il mondo esistono Musei della Shoah da qualche decennio. I più celebri – su tutti lo Yad Vashem di Gerusalemme – hanno subito, nel corso del tempo, ristrutturazioni radicali, espansioni e cambiamenti nel contenitore e nel contenuto, poiché anche la memoria della Shoah riverbera l’evoluzione di una società e di una cultura. Il primo fu quello di Parigi, negli anni Cinquanta, poi ne furono istituiti a decine. I più importanti, oltre a Gerusalemme, sono quelli di Washington e Berlino, celeberrimo per l’architettura di Daniel Libeskind: colpì i visitatori a tal punto che, una volta finito, si discusse se riempirlo o lasciarlo vuoto.
L’Italia arriva tardi, poiché se ne comincia a parlare nei primi anni Duemila. A Milano esiste un memoriale della Shoah nella Stazione centrale, nel luogo da cui partirono i treni carichi di deportati, ma ancora non è terminato; a Ferrara è in costruzione il Museo dell’ebraismo italiano e della Shoah; leggo che a Bologna è stato appena bandito un concorso di progettazione per un altro memoriale; a Roma il Museo nazionale della Shoah è agli sgoccioli dell’iter burocratico prima della costruzione, ma tutto procede con molta lentezza.
Questo ritardo nazionale – le cui cause sarebbe interessante indagare – può diventare un’occasione per ragionare sulla sostanza, ovvero sul senso del lavoro della memoria. Un impegno oneroso e diffuso, che nel futuro non potrà più avvalersi dell’apporto straordinario dei testimoni diretti. A cosa deve servire la memoria della Shoah? A chi ci rivolgiamo? In che modo palare alle giovani generazioni? Come misurare l’impatto di questo lavoro – per esempio di un viaggio scolastico ad Auschwitz – sui destinatari al momento del ritorno a casa? Sono domande cruciali, che ha senso porsi a quindici anni dall’istituzione della Giornata della Memoria, in un’epoca di risorgente antisemitismo e dilagante intolleranza.
Proprio di questo si discuterà nel convegno “Quale memoria per quale società? Il ruolo dei musei della Shoah nel XXI secolo”, in programma a Roma martedì 14 aprile. Sul tema si confronteranno storici, psicologi, formatori, maestri elementari e professori di scuola, giornalisti e divulgatori. Si tratta di ridefinire gli obiettivi, circoscriverne il campo, e soprattutto sottrarsi da un equivoco assai rischioso: la memoria della Shoah non serve agli ebrei, che questa storia ce l’hanno impressa nella carne, ma al resto della società, nella speranza che l’orrore della discriminazione, e poi di Auschwitz, produca gli anticorpi per evitare che accada di nuovo.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi

(7 aprile 2015)