Serie Tv – Mad Mensch
L’ombroso protagonista della serie tv Mad Men, Don Draper, bussa, ma la porta è aperta. Tiene stretta a sé una torta confezionata e viene mestamente accolto in una shivah, la commemorazione dei sette giorni di lutto che gli ebrei osservano in casa quando perdono un famigliare. Ha ancora vivido il ricordo di Rachel Menken, l’ereditiera proprietaria di un grande magazzino, con la quale aveva intrecciato uno dei suoi tanti amori turbolenti. Menken era il cliente, lui il pubblicitario più ambito di Madison Avenue. Mentre si guarda intorno vede le scarpe abbandonate all’entrata e gli specchi coperti da un telo; un uomo con la kippah gli chiede di poter essere il decimo uomo del minian per recitare il kaddish. Interviene però prontamente la sorella di Rachel che dice lapidaria: “Non può, non è ebreo”. Draper osserva affascinato gli uomini in preghiera, strizza l’occhio vitreo e se ne va. Dissolvenza.
Si apre così la seconda parte dell’ultima stagione del telefilm sui pubblicitari newyorchesi che ha travolto buongustai, cultori delle sceneggiature d’autore e nostalgici dell’America anni ’60 tutta vestitini pastello e locali annebbiati dal fumo delle sigarette. Una scelta, quella del creatore Matthew Weiner che conferma l’impostazione profondamente ebraica del serial. Nato a Baltimora da una famiglia ebraica, lo scorso 29 marzo Weiner è stato protagonista di un incontro al Museum of Jewish Heritage di New York proprio per discutere le radici delle sue origini nella creazione di Mad Men con il critico televisivo Matt Zoller Seitz: “Sono cresciuto a Los Angeles e molte persone non credevano fossi ebreo, il che per la generazione dei miei genitori suonava come un complimento, ma questo mi ha permesso di cogliere tante frasi o impressioni direttamente. In Mad Men ho voluto ricreare quella barriera che rendeva New York frammentata. La prima puntata inizia con Don Draper che fa una ricerca di mercato e intervista un cameriere afroamericano, un uomo troppo vecchio per lavorare e con una divisa troppo stretta per lui. Il padrone del locale interviene e rozzamente chiede se il cameriere lo stava infastidendo. Volevo raccontare il pregiudizio e la segregazione. Gli ebrei americani entrando in società erano evasivi sulle proprie origini e cercavano di usare metafore piuttosto che andare dritti al punto e usavano la terza persona, penso ad esempio a J.D Salinger. C’è stata poi una generazione di comici di origine ebraica che ha portato avanti una idea negativa delle donne ebree… Quando ho scritto i miei personaggi pensavo: ecco, ora vi farò vedere chi sono state davvero le donne della mia vita”.
Nelle sue sette stagioni Mad Men ha sempre inserito citazioni e riferimenti sull’identità ebraica nell’America del boom e delle contestazioni in maniera sofisticata: niente folklore o festività ma piccoli flash ricchi di significato: nella prima stagione l’agenzia pubblicitaria aveva come cliente l’ufficio del turismo israeliano e per documentarsi il creativo Don Draper leggeva il colossale Exodus. Quando bisognava fare affari con clienti ebrei, la vecchia canaglia Roger Sterling diceva: “Meglio se ci portiamo dietro un paio di loro correligionari per metterli a loro agio. Dici che devo andare a comprare qualcosa al deli?”. Ma ci sono riferimenti ancora più raffinati: quando Duck ha appena iniziato a lavorare per l’agenzia Grey incontra il vecchio collega Pete e gli chiede di fare insieme uno spuntino, usando la parola yiddish ‘nosh’, Pete a quel punto risponde: “Dopo solo due mesi al Grey sei pronto per fare un nosh?”, facendo riferimento al fatto che l’agenzia pubblicitaria Grey fu una delle prime a non discriminare ebrei americani e assumerli. Rachel Menken quando rivela alla sorella l’affair con Draper spiega che il vero problema della loro relazione sta nel fatto che lui non sia ebreo, glissa invece sul suo status di uomo sposato. Il rapporto con Israele viene sempre trattato con sottigliezza, non per ultima con la brevissima scena nella quale si vede la camera da letto dell’art director Stan nella quale troneggia un poster di Moshe Dayan. La rivoluzione si ha infine con l’introduzione con Ginsberg, il primo pubblicitario ebreo della serie. Weiner ci conduce nella sua squallida casa divisa con il padre, credente fervente che continua a dargli la beracha, la benedizione, nonostante le sue rimostranze. Ginsberg è un isolato e durante una delle scene più intense rivela alla sua collega Peggy di essere nato in un campo di concentramento e cresciuto in un orfanotrofio svedese. “Sono super-fiero della mia identità ebraica. – conclude Weiner – Non è che voglio sbandierarlo per catturare l’attenzione ma sono davvero orgoglioso e nella serie Tv ho voluto dimostrare che una delle cose belle della pubblicità è stata la lenta integrazione degli ebrei americani”.
E già da anni il New York Times esclama convinto: “Dovrebbero chiamarlo Mad Mensch”e la parodia è online.
Rachel Silvera twitter @rsilveramoked
(15 aprile 2015)