Mario Pirani (1925 – 2015)

pirani“Ai miei cari nipoti, Davide, Giulia e Ludovica perché serbino memoria di una lunga storia che in qualche modo riguarda loro e non solo il nonno. A miei amatissimi figli Paola e Federica, qual tormentata testimonianza delle loro origini, non così lontane come possono sembrare. A mio fratello Giorgio, compagno in gioventù di tante avventure. A mia moglie Claudia Fellus con l’amorevole riconoscenza per la pazienza durante questi tre anni di sofferto scavo alla ricerca di memorie smarrite e soprattutto per i consigli, le critiche e gli apprezzamenti che mi hanno confortato nel portare a termine questo libro. E anche per aver rallegrato i momenti di sosta e tante sere di shabbat con la gioiosa presenza dei nipotini Albert, Alex e David , cui sono grato perché mi hanno permesso di rivivere simbolicamente il bar-mitvah perduto dei miei remoti 13 anni”. Con questa dedica Mario Pirani, scomparso ieri a 89 anni, apriva la sua autobiografia Poteva andare peggio. Mezzo secolo di ragionevoli illusioni, il racconto della personale traversata del Novecento. E dello scorso secolo, Pirani è stato un testimone d’eccellenza o meglio un cronista di primo piano. Giornalista, scrittore, figlio di una famiglia ebraica liberale, affronterà e scriverà delle traversie della sua Italia con il linguaggio di chi, con un tocco di ironia, vuole raccontare i fatti senza aggiungervi inutili vezzi retorici. E così lo ricordano oggi i quotidiani italiani, su tutti Repubblica di cui fu uno dei fondatori e su cui in questi anni, nella sua rubrica “Linea di confine”, Pirani, classe 1925, ha regalato ai suoi lettori lucide analisi dell’attualità, riflessioni di politica, di economia – materia in cui la sua voce ebbe un peso rilevante -, di questioni sociali e riguardanti le tante sfumature dell’Italia e del rapporto che il Bel Paese coltiva con se stesso e con il mondo.
“Si affollano nel mio animo in questo momento innumerevoli ricordi, tra i quali quello, che era a lui particolarmente caro, dei primi incontri tra noi nella mia casa paterna all’inizio della nostra comune militanza politica. – il ricordo della longeva amicizia con Pirani del presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano – Fu uno spirito libero e critico anche nelle fila del partito comunista, da cui si distaccò senza mai divenirne un avversario e un detrattore, ma conservando in sé e difendendo apertamente il nucleo migliore di quella esperienza storica”. Dopo la guerra infatti, che lo vide costretto a nascondersi con la madre in Abruzzo a causa dell’infamia delle leggi razziste del 1938, il giovane Mario scelse la militanza politica nelle file del Pci. Di quel attivismo pieno di fervore, Pirani ricorderà con ironia “Bisognava non avere il senso del ridicolo per autodefinirsi ‘rivoluzionari di professione’”. La sua visione ispirata all’obiettività, allo spirito critico, lontana da uno sguardo sul mondo partigiano, lo porterà ad allontanarsi (e ad essere allontanato con il caso della rottura con l’Unità nel 1961 per alcuni suoi articoli sul rapporto tra il Pci e gli operai) dal partito. Già anni prima, con la repressione sovietica della rivolta di Praga, la sua fiducia nel comunismo si assottiglia, preludio di un inevitabile uscita dal Pci. Da qui l’avvio di un altro capitolo della storia di Pirani: l’incarico da parte di Enrico Mattei, a capo dell’Eni, di allacciare e mantenere rapporti segreti con i rivoluzionari d’Algeria che stavano conquistando l’indipendenza dai francesi (il sanguinoso conflitto durò dal 1954 al 1962). Di quell’avventura dal sapore di una spy-story, si trovano i gustosi ricordi nell’autobiografia Poteva andare peggio (Mondadori). L’esperienza avrà fine con la prematura scomparsa di Mattei e Pirani deciderà di tornare al giornalismo, prima con l’economico Globo poi costruendo con Eugenio Scalfari il nuovo giornale della sinistra italiana, La Repubblica. “Mario Pirani era particolarmente interessato all’economia ma entrò con tutta la sua intelligenza nella visione d’insieme – racconta oggi Scalfari – Era tra quelli che aveva l’intuizione di un nuovo pubblico da raggiungere: i giovani e le donne, i cosiddetti ceti emergenti che fino ad allora non si avvicinavano neppure ai quotidiani dell’epoca”. Tra Pirani e Scalfari non vi era solo un rapporto di lavoro ma una forte legame d’amicizia. “Un’amicizia che ci consentiva di orientarci reciprocamente sui fatti che avvenivano intorno a noi, ma anche sui nostri sentimenti e sul viaggio che ciascuno può intraprendere nel profondo dell’anima, mettendo in comune con l’amico di cui ci si fida e con il quale si condivide il bisogno di confrontarsi”, scrive Scalfari, ricordando l’ultima visita all’amico. Al suo fianco, la moglie “Claudia che è stata il grande amore della sua vita”.
“Conversare con Pirani era un piacere fecondo e faticoso, bisognava prepararsi, non abbandonarsi alle risposte semplici, quelle che negava a se stesso cercando sempre la spiegazione in più che riusciva spesso a dare e che già ora manca anche a noi”, il ricordo di Cesare Martinetti su La Stampa. “Grande giornalista e uomo libero”, il pensiero espresso in un tweet dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. A quest’ultimo, appena insediatosi alla Farnesina, Pirani dedicò una delle sue linee di confine, chiedendo maggiore impegno della politica italiana sul fronte internazionale. “Sarebbe importante – recitava l’articolo pubblicato l’8 dicembre scorso in un passaggio dedicato alla situazione mediorientale – ripensare i nessi strategici bilaterali tra Israele e Italia, perché per ricordare solo un piccolo fatto se si rompesse l’equilibrio israeliano in Medio Oriente, milioni e milioni di profughi arriverebbero sulle nostre coste e questo sarebbe solo l’inizio. Nell’assieme non c’è ancora alcun serio progetto politico, a meno dell’operazione decisa poco tempo fa dalla Nato, contro l’Isis. Non c’è alcuna linea interpretativa seria sul fenomeno Califfato”.
Pirani mise inoltre in guardia l’Europa e i concittadini italiani dal ritorno dell’estrema destra e dallo strisciante riemergere dell’antisemitismo. “Siamo tutti ebrei greci”, scrisse nel 2012 mentre i neonazisti di Alba Dorata facevano capolino in Grecia. Richiamò l’attenzione sullo sdoganamento, tramite il web, di tesi complottistiche e antisemite che rievocavano le tristi pagine vissute durante l’infanzia. Si pose in prima fila contro il negazionismo della Shoah, rimarcando la preoccupante indifferenza di molti di fronte al fenomeno e invocando la cultura come arma per affrontarla.
“Tra le forze del terrore e quelle del dialogo, un grande combattimento ad armi impari è cominciato. Non ho che delle illusioni ragionevoli sul risultato di questo combattimento. Ma credo che sia necessario portarlo avanti e so che alcuni uomini, almeno, sono decisi a farlo”, la citazione di Albert Camus scelta da Pirani per aprire il suo libro di memorie. Tra quegli uomini decisi a combattere, in molti rivedranno Mario Pirani.

Daniel Reichel

(19 aprile 2015)