Brigata Ebraica, parlano i testimoni

Schermata 04-2457140 alle 09.53.02“Nella foto che vi ho portato oggi potete vedere Moshe Sharett, capo dipartimento dell’Agenzia ebraica e futuro primo ministro d’Israele, che consegna la bandiera ai combattenti della Brigata Ebraica. Come vedete è identica a quella che verrà adottata dallo Stato ebraico. Una bandiera tanto contestata durante le celebrazioni del 25 aprile degli ultimi anni e che invece nel 1945 per la Romagna rappresentò la Liberazione e anche la speranza”.
Così Romano Rossi, presidente dell’Associazione Nazionale Reduci della Friuli ha aperto la giornata di ieri dedicata al ricordo dei 37 caduti della Brigata Ebraica seppelliti nel cimitero di Piangipane, Ravenna.

Schermata 04-2457140 alle 09.54.42“Mi ricordo perfettamente la presenza della Brigata Ebraica a Mezzano – rievoca gioioso Giovanni Basili (nell’immagine a sinistra con Alberto Tancredi e Primo Fornaciari), testimone che all’epoca aveva 11 anni – eravamo praticamente vicini di casa. Un soldato in particolare mi rimase sempre nel cuore: si chiamava Ben-Zion e non mi parlava, ma dai suoi gesti capivo che mi voleva bene. Ogni volta che mi vedeva, Ben-Zion, mi faceva salire sulla sua cingoletta e mi portava a fare un giro. Mi ricordo anche che la Brigata ci portò da mangiare dei fichi sciroppati. Era la prima volta che li assaggiavo e ne rimasi estasiato. Ero solo un bambino quando vidi gli alleati e mi fecero un certo effetto: i canadesi con la foglia d’acero, gli indiani con il grande cappello bianco, i nepalesi che stavano sempre in silenzio ed erano serissimi”.
Se il signor Basili ebbe la fortuna di vivere dalla parte degli alleati, l’ex maestro Giovanni Fabbri dovette aspettare di più prima della Liberazione: “La Brigata Ebraica si fermò per parecchio tempo a Riolo Terme e concentrò la sua artiglieria dentro i giardini pubblici. I soldati indossavano la divisa inglese come tutti ma sul braccio avevano una scritta che poi avrebbe creato qualche confusione: Palestine Regiment”.
A partecipare alla commemorazione, oltre un folto gruppo di membri della Comunità ebraica di Roma, partiti e ritornati in giornata anche rappresentanti di Bologna (la vice presidente della Comunità ebraica Deborah Romano Menasci e il consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche David Menasci) e di Firenze e le autorità locali. Tante le voci che si sono levate per raccontare la propria storia e costituire un mosaico affascinante e ricco di emozioni: Il rabbino Enzo Di Castro, prima di recitare il kaddish di fronte alle lapidi dei soldati che si sacrificarono per la libertà, condivide un suo ricordo: “Mia madre faceva la bidella dentro la scuola ebraica di Roma Vittorio Polacco e ricordo il suo racconto di come la Brigata arrivò e riaprì la scuola e anche della chanukkiah di legno che portarono con loro. In questo cimitero penso a quando il popolo ebraico nella Torah arrivò a Can’aan: la tribù di Gad e quella di Reuven decisero di non entrare facendo arrabbiare Moshé. Quando chiese loro spiegazioni, gli dissero che volevano restare fuori per costruire una fortezza e fare da avanguardia per difendere la terra. E in qualche modo anche la Brigata Ebraica fece così: abbandonò il luogo nel quale più o meno era al sicuro per aiutare il prossimo a prescindere dalla fede religiosa o la provenienza”. A prendere la parola è poi il sindaco di Ravenna Fabrizio Matteucci: “Sono desolato per le contestazioni alla Brigata nei cortei del 25 aprile a Milano e Cagliari. Ravenna, che è una città medaglia d’oro al valore militare, deve molto a loro. Voglio ricordare uno degli eroi della Resistenza ravennate, Arrigo Boldrini, che disse: noi abbiamo combattuto per chi c’era, per chi non c’era e anche per chi non era dalla nostra parte”. E conclude: “Una comunità senza Memoria è come un albero senza radici”. Aggiunge poi il presidente della Comunità ebraica romana Riccardo Pacifici: “Riguardo alle contestazioni da parte dei propalestinesi nei cortei penso che dobbiamo farci dell’autocritica: siamo stati noi ad aver lasciato che prendessero la piazza. Oggi siamo qui come italiani e abbiamo il dovere di ricordare l’operato della Brigata Ebraica e non solo: spesso si parla di vittimismo ebraico, spesso ci si chiede perché gli ebrei non si ribellarono; oggi mi piacerebbe ricordare Marco Moscati, ebreo e partigiano morto durante l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Un italiano morto per la libertà”.
IMG_20150426_143826E tra i partecipanti della giornata a Piangipane, proprio il nipote di Marco Moscati (il cui corpo venne identificato solo 67 anni dopo, nel 2013), Aldo Efrati (nell’immagine), che racconta a Pagine Ebraiche: “Marco Moscati era il fratello di mia madre, e fin da giovane si avvicinò al gruppo comunista frequentando assiduamente la sede in via delle Botteghe Oscure a Roma. Proprio dai contatti che i comunisti italiani avevano con i russi, fin dal 1938 seppe della condizione critica degli ebrei austriaci e tedeschi. Allora andò da mia nonna Allegra Calò e le disse stringendo una borsa di cartone: ‘Mamma io me ne vado e dovreste farlo anche voi, presto questa città diventerà una trappola per topi’, purtroppo però la famiglia non gli diede retta. Suo fratello Davide morì ad Auschwitz e l’altro, Emanuele, alle Fosse Ardeatine. Zio Marco si unì al gruppo di partigiani che operava ai Castelli Romani ed infatti una piazza di Albano e la sezione dell’Anpi portano il suo nome. La nostra famiglia era molto legata alla religione: dei miei parenti, Giovanni Moscati era rabbino e Angelo e Pellegrino Moscati fecero entrambi da shammash, uno al tempio di via Balbo, l’altro al Tempio Maggiore. Oggi sono venuto a Piangipane per dimostrare quanto è importante il ricordo di quanti come lui, combatterono per difendere dei valori”. “La giornata di oggi è stata molto intensa e soddisfacente”, gli fa eco la moglie Elisabetta Di Porto. “Marco Moscati era molto amico di mio padre Angelo che infatti viveva ad Albano – aggiunge Clelia Terracina – Mio padre faceva da vivandiere, era antifascista e gli fu riconosciuta la medaglia di bronzo. Durante le leggi razziste si nascose nelle fognature di Albano ed i fascisti catturarono mia madre e i miei fratelli mettendoli in un campo base per tentare di farlo uscire allo scoperto. Una signora, che per poter continuare a vivere lavorava nell’ufficio del Fascio, corruppe alcune guardie e riuscì però a farli evadere. La mia famiglia si rifugiò dunque dentro la Villa del collegio della Propaganda fide che però fu bombardata. A quel punto a salvarli fu un personaggio d’eccezione: il monsignor Giovanni Battista Montini, futuro papa Paolo VI. Montini che conosceva mio padre perché era uno dei fornitori delle Ville pontificie, diede lui dei documenti falsi nei quali il cognome Terracina divenne Bonacina e in seguito li fece riparare dentro il Vaticano. La sua fu un’azione assolutamente a titolo personale”. A raccontare la propria storia a Pagine Ebraiche è poi l’operatore culturale Primo Fornaciari: “Studiando la zona di Mezzano mi sono reso conto di quanto le gesta della Brigata Ebraica erano state dimenticate e mi sono impegnato personalmente per tentare di raccontare e diffondere la storia”. Fornaciari è infatti presidente dell’Associazione Amici della Brigata Ebraica e ha pubblicato anche un libro sull’argomento “I ragazzi venuti dalla terra di Israele. Luoghi e storie della brigata ebraica in Romagna” (ed. Angelo Longo). A tener viva la memoria della Brigata è anche Alberto Tancredi, presidente della sezione romana degli Amici di Israele, da anni parte attiva per assicurare la presenza durante il corteo romano del 25 aprile: “L’unica occasione di un saluto pubblico dei rappresentanti della Brigata Ebraica nel corteo è stato nel 2010. Le contestazioni durante la manifestazione si concentrano nel colpevolizzare l’uso della bandiera di Israele, che poi è semplicemente identica a quella usata dalla Brigata. Per essere ancora più chiari abbiamo modificato la bandiera nel 2011 e ora ha la stella gialla come le mostrine delle divise. Un giallo che dopo essere stato il segno dell’oppressione era diventato quello della rivalsa. Anche con una nuova versione però siamo stati criticati e questo mi fa capire come la bandiera forse non sia che un pretesto”.
IMG_20150426_124109Ad essere infine parte integrante del gruppo partito da Roma è Enrico Sed (nell’immagine), che ha guidato il pulmino senza rinunciare alla propria formazione classica e letteraria: “L’esperienza a Piangipane è stata davvero emozionante. Prima andavo al corteo per il 25 aprile a San Paolo ma le contestazioni stavano veramente diventando troppe e l’atmosfera era pesante. Oggi è stata una giornata importante”.

Rachel Silvera twitter @rsilveramoked

(27 aprile 2015)