La rassegna settimanale di melamed
Contraddizioni e tradimenti
Melamed è una sezione specifica della rassegna stampa del portale dell’ebraismo italiano che da tre anni è dedicata a questioni relative a educazione e insegnamento. Ogni settimana una selezione della rassegna viene inviata a docenti, ai leader ebraici e a molti altri che hanno responsabilità sul fronte dell’educazione e della scuola. Dalla alcune settimane la redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane aggiunge al lavoro di riordino e selezione settimanale un commento, per fare il punto delle questioni più trattate sui giornali italiani ed esteri.
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Scrive Anna Foa, in occasione dell’uscita in Italia della prima edizione completa degli scritti di Anne Frank, insieme a racconti, lettere, fotografie e molti documenti: “Il Diario scritto da Anne Frank è divenuto a partire dalla fine degli anni Cinquanta il simbolo stesso della persecuzione nazista degli ebrei e del tragico destino dell’ebraismo europeo. (…) E quindi il resoconto di un tentativo di sopravvivere, delle sue difficoltà e dei sentimenti contrastanti di speranza e paura che ne nascono, e insieme del suo fallimento.” Il Diario ha avuto una notorietà straordinaria, a partire dalla prima pubblicazione, avvenuta nel 1947: tradotto in 67 lingue, venduto in oltre trenta milioni di copie, portato sulle scene teatrali e al cinema, letto nelle scuole, ha avuto milioni di lettori e spettatori attenti e partecipi. E proprio l’accanimento negazionista, che ha cercato di sostenere la falsità dell’opera, rivela come Anne sia diventata un simbolo di grande importanza. (Avvenire, 29 aprile) Probabilmente proprio per questo colpisce la notizia che si sia scoperto chi la fece arrestare e deportare . In “Bep Voskuijl” (Basta silenzio) libro appena uscito nei Paesi Bassi e scritto da Jeroen De Bruyn e Joop van Wijk, si racconta come a tradirla sia stata probabilmente la sorella di Elisabeth, quella Bep che cercò di salvare i Frank dai nazisti. (Gente, 28 aprile)
Vietato entrare. È successo nel nord Francia: a una quindicenne di Charleville Mézière è stato vietato l’ingresso a scuola per via della gonna nera “troppo lunga” che indossava, considerata “un segno vistoso di appartenenza religiosa”. La ragazza, che fuori dalla scuola porta il velo, ha descritto quella gonna, acquistata per soli 2 euro, come “davvero nulla di particolare: è semplicissima e non ha nulla di vistoso, senza alcun segno religioso”. Numerose – spiega l’Avvenire il 30 aprile – sono le reazioni “Nel cyberspazio, fra sdrammatizzazioni ironiche e accuse d’islamofobia contro gli ayatollah della laicità”, mentre il Garantista lo stesso giorno raccontando la vicenda lancia lo slogan “Porto la gonna come voglio”.
Resistenza e porte sbarrate. Molti i racconti che hanno in questa settimana ricordato quegli atti eroici e quelle storie piccole e importanti che hanno permesso in alcune occasioni di salvare persone e cose durante gli anni terribili del nazifascismo. C’è stato anche chi ha rischiato la vita affrontando un comando tedesco armata solo di coraggio e parole, per salvare il diritto allo studio. La professoressa Ciccone, docente della facoltà di Fisica a Pisa, impedì nel ‘44 di minare e radere al suolo la sua università, riuscendo a far indietreggiare i nazisti, con la forza datale dalla fiducia assoluta nell’importanza di difendere la possibilità di studiare, e di imparare. (Corriere fiorentino, 25 aprile)
Svastiche. Viene spiegato sul New York Times (28 aprile) l’episodio appena citato lo stesso giorno dal Quotidiano Nazionale: “Maus”, il capolavoro a fumetti sulla Shoah firmato da Art Spiegelman e ritirato dalla vendita a Mosca non è stato vittima di censura, ma di un piano del governo che voleva far cancellare ogni simbolo del nazismo in occasione del giorno in cui si celebra la sconfitta della Germania ad opera della Russia. Far sparire le svastiche, era l’ordine, e nell’ansia di eseguire le istruzioni è stato ritirato anche il graphic novel, che porta in copertina una grande svastica nera.
Memoria. A Padova, nel cortile dell’università, gli studenti si sono distesi per terra a riprodurre esattamente la posizione dei corpi dei ragazzi massacrati dai terroristi nell’università di Garissa, in Kenya. Racconta Paolo Giordano sul Corriere (30 aprile): “Per qualche istante si è creata una corrispondenza autentica con i colleghi trucidati a Garissa: i pensieri di noi tutti erano là. In un certo senso, la performance di Padova è stata un modo di pregare per gli studenti kenioti, di pregare in maniera laica, adeguata a un tempio dell’istruzione e del sapere, uniti non da una fede ma dall’appartenenza comune all’idea di università — qualcosa che non ha veri confini territoriali né temporali, qualcosa di universale, come suggerisce la parola.”
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(1° maggio 2015)