Moked 5775 – Augusto Segre, ricordo vivo

Schermata 05-2457146 alle 09.02.46Maestro, rabbino, scrittore, partigiano. Tante sono le anime di Augusto Segre z.l. nato esattamente cento anni fa e il cui ricordo è stato celebrato durante lo Shabbat del Moked di Milano Marittima. Oltre ad essere autore di diversi libri (il più celebre “Memorie di vita ebraica”), Segre ha ricoperto l’incarico di direttore del dipartimento culturale dell’allora Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, diventando il successore di una figura fondamentale dell’ebraismo italiano, Dante Lattes: “Ricordo – rievoca il presidente UCEI Renzo Gattegna – che quando cominciai a occuparmi di giovani all’interno della Comunità ebraica di Roma, in lui trovai un alleato. Augusto Segre non diceva mai di ‘no’: la sua porta all’Unione era sempre aperta e per la situazione giovanile ha sempre avuto un occhio di riguardo”.
A introdurre il personaggio Segre, mancato trenta anni fa, il rav Della Rocca: “Ho sempre avuto un attaccamento particolare nei suoi confronti: per anni ha ricoperto il mio attuale ruolo all’interno dell’Unione pubblicando anche fondamentali testi sulle feste ebraiche. Augusto Segre è stato profondamente italiano e ha combattuto per la Liberazione, ma quando ha poi deciso di trasferirsi in Israele è diventato anche profondamente israeliano”. Il rav mostra poi una lettera ritrovata negli archivi Ucei nella quale Augusto Segre risponde affabilmente a un bambino iscrittosi ad un corso di Talmud Torah per corrispondenza: “Trovo sia una testimonianza unica, sulla quale sia necessario tornare sopra in futuro”.
Dice il rav e preside delle medie e liceo delle scuole ebraiche di Roma Benedetto Carucci Viterbi: “Ho avuto l’onore di averlo come maestro e mi ha trasmesso la passione per gli studi ebraici, l’amore che riponeva in essi. Segre diede anche molti spunti alla casa editrice di mio padre, la Carucci editore, che pubblicò sotto suo consiglio il commento alla Torah di Dante Lattes oltre che libri firmati da lui stesso. Sua moglie era molto amica di mia madre: entrambe venete non si poteva non notare la liberazione con la quale usavano il dialetto ogni volta che si incontravano”.
Augusto Segre fu poi fondamentale nel creazione dei primi ponti con il mondo cattolico, diventando un uomo del dialogo e trasmettendo la cultura ebraica. Toccante il pensiero di Eliezer Antoniotti, suo allievo: “Lo accompagnavo sempre quando teneva i corsi alla Pontificia Università Lateranense ed ero vestito da militare perché facevo la leva, allora lui rievocando la sua carriera militare mi chiamava ‘collega’. Quando poi l’università mi richiamò dicendo che era proibita la divisa, lui prese a chiamarmi ‘l’invasore’. Quando morì ricevetti in dono il suo bastone e mi commuove pensare che se fino a quando fu in vita mi sorressi sempre a lui, con il suo bastone mi continuo a sorreggere a lui”.
A concludere è il figlio Daniel Segre, che condivide momenti di vita intima e calorosa: “Quando riattraverso tutti i ricordi penso ad una parola sola: ‘papà’. Papà era un uomo coraggioso, integro come lo era mio nonno Ezechiele, rabbino di Casale Monferrato: durante l’emanazione delle leggi razziste a mio padre dei fascisti tirarono dei sassi e lui, ancora debole per la polio, non riuscì a ribattere; mio nonno, conosciuto da tutti come rabbino della città, allora andò nel bar più fascista di Casale, ordinò un caffè, fumò la pipa e tranquillamente disse: se qualcuno fa di nuovo del male a mio figlio dovrà vedersela con me. Un coraggio, il suo, che mio padre ereditò: era sul treno diretto a Milano e vicino a lui si sedette un fascista. Mio padre iniziò a parlare di calcio e fumare insieme finché arrivarono. Sulla banchina c’era il controllo dei documenti e mio padre per riuscire a sfuggire disse al suo compagno di viaggio in camicia nera di aiutarlo a scendere perché claudicante, poi si appoggiò a lui e nessuno osò chiedergli nulla. Uno dei tanti ricordi è poi legato all’estate: andavamo a Porto Ercole quando non era ancora di moda e lì dei pescatori chiesero a mia madre perché avesse un numero tatuato. Erano gli anni ’60 e ancora molti non sapevano nulla. Mio padre portò libri e foto e loro dopo essersi messi a piangere chiesero scusa. Fu a quel punto che papà divenne un loro grande amico e i giorni dopo lo portarono a pescare insieme”.

Rachel Silvera twitter @rsilveramoked

(3 maggio 2015)