Una ferita sempre aperta
Ilan, il ricordo non si spegne
Aveva 23 anni, lavorava in un negozio di telefonia di Parigi e la foto sorridente nella quale indossa dei jeans e una t-shirt bianca e rossa ha fatto il giro del mondo, diventando simbolo di uno dei crimini di antisemitismo più becero e crudele degli ultimi anni.
Era il gennaio del 2006 quando Ilan Halimi, giovane francese ebreo di origine marocchina viene abbordato da una ragazza e prende appuntamento con lei; il 20 del mese, credendo di passare una serata spensierata con lei, viene rapito dalla cosiddetta banda dei Barbari che lo sceglie come vittima perché ebreo e lo tiene in prigionia per 24 lunghissimi giorni. L’epilogo sarà il 13 febbraio quando, dopo dopo aver subito orribili torture, verrà ritrovato agonizzante presso il binario ferroviario di Sainte-Genevieve-des-Bois e morirà poco dopo in ospedale. Ad essere la mente del rapimento, proclamatosi lui stesso il cervello dei Barbari, Youssouf Fofana, un ivoriano all’epoca venticinquenne che cercava di rapire ebrei perché “ricchi e solidali” tra di loro e che attualmente è in prigione in una cella di isolamento. Nella sua banda erano attive altre 26 persone accusate per altri 15 casi che implicavano rapimenti e racket.
Il caso del giovane Halimi “ha sconvolto la Francia intera – scrisse il New York Sun – e l’ha obbligata a confrontarsi con l’ombra che sembrava passata dell’antisemitismo”. Il giorno dopo il rapimento la famiglia ricevette una e-mail nel quale chiedeva un riscatto di circa cinquecentomila euro e per provare di aver realmente con loro il giovane, inviò una foto di Halimi con una pistola puntata alla tempia mentre stringeva il quotidiano Le Parisien e aveva il volto coperto. Nei giorni seguenti la banda propose cifre più basse, una tattica molto diversa dagli usuali rapimenti e che spinse il giudice Corinne Goetzmann a individuare il principale motivo del crimine nella matrice antisemita; in più i rapitori ripeterono più volte frasi schiaccianti: contattarono un rabbino dicendogli “Abbiamo un ebreo” e minacciarono i famigliari di Ilan di pagare o in alternativa di andare a prendere i soldi dalla loro sinagoga. Dopo il ritrovamento e la morte di Ilan Halimi più di mille persone sono scese in piazza per protestare e chiedere giustizia per le strade di Parigi, una battaglia portata avanti strenuamente dalla madre Ruth che non si dà ancora pace per aver fatto uscire suo figlio quel venerdì sera: “Doveva restare a casa, era Shabbat”.
E dopo nove anni il ricordo di Ilan è ancora vivo nonostante la targa in sua memoria posta a Bagneaux (la periferia nella quale fu torturato) sia stata barbaramente vandalizzata solo due giorni fa (Un atto condannato dall’ex presidente francese Nicolas Sarkozy su Twitter: “Sono costernato, l barbarie di cui è stato vittima sembra non essere stata sufficiente. Ci vuole intransigenza” e dal primo ministro Valls che ha scritto: “Quello che è stato fatto è abbietto, è stato come ucciderlo una seconda volta”), il ricordo di Ilan risuona ancora nel cuore delle centinaia di persone che ogni anno a febbraio scendono in piazza e rievocando quel febbraio del 2006 gridano: “Noi non dimentichiamo”.
r.s. twitter @rsilveramoked
(4 maggio 2015)