Moked 5775 – Rav Toaff, il ricordo dei Maestri
“Rav Elio Toaff ha avuto la capacità di essere un punto di riferimento all’interno della comunità ma anche all’esterno. Si è sempre impegnato per il bene della sua comunità senza mai perdere autorevolezza. Non sono stato un suo allievo ma credo egli sia stato la dimostrazione del concetto della Torah che insegna come l’uomo sia caro a D-o perché fatto a sua immagine e somiglianza”. Ad aprire l’izkhor, il momento di incontro in memoria del rabbino capo emerito di Roma Elio Toaff, scomparso lo scorso 19 aprile alla soglia dei cento anni, è il presidente dell’Assemblea Rabbinica Italiana Giuseppe Momigliano che condivide i suoi ricordi durante l’ultimo giorno del Moked 5775, il momento d’incontro organizzato a Milano Marittima dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Dopo di lui tante le voci dei Maestri che si sono levate per raccontare un aneddoto o condividere un particolare affettuoso, facendo anche riferimento alle pagine dedicate al rav Toaff all’interno dell’ultimo numero del giornale dell’ebraismo italiane Pagine Ebraiche.
Spiega il rav Roberto Della Rocca: “Rav Elio Toaff si è sempre ‘sporcato le mani’, non ha mai mandato in spedizione qualcuno al posto suo, ci ha sempre riportato a casa sani e salvi come un vero leader. Rispettava le scelte di ognuno dei suoi allievi e non sopportava l’estemismo religioso. Alle volte per essere comunicativo rinunciava ai tecnicismi. Cercava il cuore delle cose. E delle persone”.
“So esattamente quando fu il giorno nel quale conobbi rav Toaff – spiega rav Pierpaolo Pinhas Punturello – era il 10 di Nissan, io avevo 18 anni e lui doveva farmi un esame per constatare la mia conoscenza in materie ebraiche. La prima cosa che mi disse, guardandomi, fu un ammonimento: secondo lui ero molto giovane, forse troppo. Io cominciai a sciorinare le mie conoscenze ma lui mi fermò e mi chiese dove fosse mio padre e se avessi degli amici ebrei. Solo quando gli risposi il suo sorriso si aprì. Oltre le mie competenze, voleva conoscere la mia persona, la mia identità. Fu lì che capii il valore dell’ammonimento”.
Rav Adolfo Locci, rabbino capo di Padova e suo allievo, aggiunge: “Quando penso a rav Toaff mi viene in mente la frase cult del film Blade Runner: ‘Ho visto cose che voi umani…’. Lo conobbi durante l’esame del mio bar mitzvah, quando mi chiese come mi chiamassi, gli risposi ‘Adolfo’, lui allora mi guardò e mi disse: ‘Con quel nome lì considerati già bocciato!’. La verità è che il rav era una persona decisa e aveva rispetto delle persone decise”.
Un ricordo di intima quotidianità anche quello del maskil Gadi Piperno: “Ero molto piccolo quando era a capo del Collegio rabbinico. Ricordo che una volta giocavo a calcio con i miei compagni di corso e che all’apparizione del rav Toaff restammo un attimo raggelati, anche in ragione della sua autorevolezza. Fu proprio il rav a rompere la tensione tirando un calcio al pallone. Una grande lezione di umanità”.
Per raccontare la figura del rav Toaff, il sofer Amedeo Spagnoletto sceglie la metafora della festività di Pesach shenì, che permette di dare una nuova possibilità a Pesach, esattamente come è necessario darne agli ebrei che decidono di riavvicinarsi: “Era un rav accogliente e soprattutto completo: non si tirava indietro; faceva lo shochet se ce ne era bisogno e amava preparare le matzot, il pane azzimo, con le sue stesse mani. Un rabbino a 360 gradi”.
Il rabbino capo di Bologna Alberto Sermoneta ricorda: “Ho particolarmente nel cuore i suoi racconti sul periodo della guerra e la sua Resistenza. Prima di partire suo padre gli disse di lavare e seppellire i cadaveri che incontrava per strada perché fondamentale per la religione ebraica. Quando ritornò sano e salvo il padre gli rispose che si era salvato proprio perché gli aveva dato ascolto. Rav Toaff pretendeva molto ma dava tantissimo”.
“Il rav Toaff è stato il mio sandek (la persona che ha l’onore di tenere in braccio il bambino durante la circoncisione) durante la mila e anche quello dei miei figli. Il che è stato abbastanza particolare visto che in teoria il ruolo non può essere ricoperto sempre dalla stessa persona. Sandek proviene dalla parola greca sin teknos e indica una creazione pratica – spiega rav Benedetto Carucci Viterbi, preside delle medie e del liceo ebraico di Roma – dalla parola teknos proviene anche quella di tecnica e testo. In qualche modo il Sandek è il nostro tessitore e io posso affermare con certezza che rav Toaff sia stato il mio. Nell’ebraismo i Maestri sono un oggetto di attaccamento fondamentale, riescono in qualche modo a mandare avanti ma anche azzerare il tempo, ti fanno aspirare all’eternità”.
Rachel Silvera
(4 maggio 2015)