santità…

L’esortazione a essere “kedoshìm”, santi, distinti (Vaykrà, 19; 24), è espressa al plurale e con una forma verbale futura/imperativa come se la kedushà dovesse costituire un processo sempre in fieri e mai un’entità statica acquisita una volta per sempre. Dalla forma plurale si deduce invece che la kedushà, santità, è legata alla collettività di Israele nella sua interezza. Non è prevista una santità separata dalla società in cui si vive. Anzi, una Comunità rischia di perdere la sua kedushà proprio quando chi si sforza di far vivere la Torah diviene l’esecutore e il testimone solitario di un sistema di vita estraneo ai più.

Roberto Della Rocca, rabbino

(5 maggio 2015)