Il nostro castello

Francesco Moisés Bassano “La strada infatti, cioè la strada principale del paese, non conduceva alla collina del Castello, ma soltanto nelle vicinanze; poi, come deliberatamente, descriveva una curva e sebbene non si allontanasse dal Castello non gli si avvicinava neppure”.
Quando ci ritroviamo alle prese con l’apparato burocratico che influisce su parte del nostro quotidiano, è difficile non pensare al Castello di Franz Kafka (1922). Un castello, il quale oltre che D., rispecchia la nostra società, nella quale l’individuo vi si ritrova isolato e schiacciato di fronte a qualcosa di più grande, impossibile da comprendere o da raggiungere. Qui il soggetto non giungerà mai davanti a colui che realmente tiene le redini del castello, il quale in un certo senso non esiste neppure, ma incontrerà soltanto attori marginali e irrilevanti. Ogni dissenso o lamentela sarà quindi fine a se stessa, ogni cosa sarà continuamente mediata e rinviata a qualcos’altro, girando a vuoto all’infinito. Proprio come la strada che ho citato, che sale con delle curve, ma non va mai dritta alla meta. Se poi K. come scrisse Pietro Citati è una sorta di anti-eroe omerico, gli aiutanti, Artur e Jeremias, scrisse il critico letterario Stefano Brugnolo (2013) facendo l’eco a Milan Kundera, “sono i cosiddetti addetti della civiltà dei servizi e dei consumi: commessi, rappresentanti, assicuratori, portinai, custodi che diventano così pressanti nei confronti dei clienti da trasformarsi nei loro persecutori” e che confondendoci ed “intrufolandosi nella vita dei singoli” rendono ancora più impraticabile l’accesso al castello e la sua comprensione.

Francesco Moises Bassano

(8 maggio 2015)