Israele – A Netanyahu servono più ministri
La nuova coalizione di Benjamin Netanyahu, Primo ministro di Israele, è chiamata al primo importante esame. Domani i 61 parlamentari della nuova maggioranza – faticosamente riunita da dal leader del Likud dopo le elezioni vinte a marzo – dovrà infatti votare compatta la decisione approvata oggi dal governo uscente, sempre guidato da Netanyahu, di abolire il tetto massimo per le nomine di ministri e viceministri. Una decisione nata dalla necessità di soddisfare le richieste dei partiti di coalizione (Kulanu, HaBayt HaYehudi, Shas e Yahadut HaTorah) ma soprattutto dalla volontà del Premier di non scontentare gli uomini del Likud, per cui altrimenti non ci sarebbero abbastanza posizioni di rilievo da ricoprire. Tolto il limite introdotto nella scorsa legislatura di 18 ministri e 4 viceministri, Netanyahu avrebbe mano libera nella distribuzione degli incarichi, potendo così accontentare i suoi, rimasti scottati dalla nomina a ministro della Giustizia della pupilla di Naftali Bennett (HaBayt HaYeudi) Ayelet Shaked. Per abolire il tetto sarà però necessario il voto alla Knesset di tutta la risicata maggioranza (61 su 120 parlamentari totali) raccolta attorno al premier. Senza l’approvazione di questo emendamento, che andrà a modificare la Legge fondamentale israeliana, il Paese si troverà con ogni probabilità di fronte alla dissoluzione della coalizione e quindi, a distanza di tre mesi dalle elezioni, senza un governo. Per questo il passaggio di domani sarà un esame chiave per la maggioranza e per Netanyahu, che, secondo quanto affermano i quotidiani israeliani, ha deciso di tenere per sé il ministero degli Esteri con la speranza affidarlo a qualcuno tra l’ex alleato Avigdor Lieberman, l’avversario laburista Isaac Herzog o il suo ex ministro alle Finanze Yair Lapid e allargare in questo modo la sua maggioranza. Il primo si è svincolato all’ultimo, decidendo, dopo essere stato a lungo il braccio destro di Netanyahu, di tenere il suo Israel Beitenu fuori dalla coalizione. Un suo rientro in seconda battuta non è da escludersi, vista soprattuto la profonda crisi di consensi in cui versa il suo partito, caratterizzato da posizioni di destra oltranziste e il cui intento era rappresentare l’elettorato dell’ex Unione Sovietica (circa un milione di persone). Continua invece a negare ogni eventualità di entrare nelle fila del governo, il leader del centro sinistra Herzog: “Non salverò Netanyahu dalla fossa che si è scavato da solo”, la sua dichiarazione sulle voci di un possibile governo di unità nazionale. Difficile vedere anche Lapid, che pure aspirava al ministero degli Esteri, fare retromarcia e appoggiare il suo ex primo ministro. Il rapporto tra i due si è rotto in modo fragoroso a dicembre, quando Netanyahu ha messo alla porta il leader di Yesh Atid, accusandolo di aver cospirato contro di lui. Era stato proprio Lapid, peraltro, il primo sostenitore della legge che aveva introdotto in Israele il limite alle nomine dei ministri. E oggi l’ex ministro delle Finanze ha annunciato che farà ricorso alla Corte di Giustizia israeliana contro il provvedimento preso dal governo uscente, perché secondo lui illegittimo (un governo in scadenza non avrebbe la competenza per proporre la modifica della Legge fondamentale israeliana, la tesi di Lapid).
Daniel Reichel
(10 maggio 2015)