Firenze – Il ritratto della Memoria

Lucia LeviLucia Levi Levy è stata deportata da Firenze quando ormai si illudeva di essere alle fine di quei terribili mesi ed è rimasta a Fossoli fino al 26 giugno 1944. Era una delle ultime rappresentanti della famiglia Levi, che dal ‘600 guidava la kehillah sefardita; figlia di Ottavio e di Vittorina Sforni, era nata nella villa al Bandino dei nonni paterni e vissuta nella lussuosa cornice del Palazzo Budini Gattai e quindi in una bella villa in via Bovio, nel nuovo quartiere nato con Firenze capitale nei pressi della sinagoga. Del padre, ottimo pittore, il museo ebraico fiorentino espone due vedute dei Templi gemelli di via delle Oche; la famiglia materna è nota per le sue collezioni di arte. Per un ritratto da fare alla figlia, sposa felice di Albert Levy, rampollo di una nota famiglia di Zante, e già madre di tre figli, i genitori nel 1906 si rivolsero a un giovane promettente artista veneziano, Gino Rossi, che l’ha ritratta a grandezza naturale accanto una vaso di rose rosse, elegantissima in un abito da sera nero con pailletes, riuscendo a comunicare attraverso il suo sguardo e il suo sorriso i sentimenti gioiosi della donna. All’epoca delle persecuzioni razziali questo periodo di felicità si era già chiuso.

Lucia LeviLucia Levi Levy è stata deportata da Firenze quando ormai si illudeva di essere alle fine di quei terribili mesi ed è rimasta a Fossoli fino al 26 giugno 1944. Era una delle ultime rappresentanti della famiglia Levi, che dal ‘600 guidava la kehillah sefardita; figlia di Ottavio e di Vittorina Sforni, era nata nella villa al Bandino dei nonni paterni e vissuta nella lussuosa cornice del Palazzo Budini Gattai e quindi in una bella villa in via Bovio, nel nuovo quartiere nato con Firenze capitale nei pressi della sinagoga.
Del padre, ottimo pittore, il museo ebraico fiorentino espone due vedute dei Templi gemelli di via delle Oche; la famiglia materna è nota per le sue collezioni di arte. Per un ritratto da fare alla figlia, sposa felice di Albert Levy, rampollo di una nota famiglia di Zante, e già madre di tre figli, i genitori nel 1906 si rivolsero a un giovane promettente artista veneziano, Gino Rossi, che l’ha ritratta a grandezza naturale accanto una vaso di rose rosse, elegantissima in un abito da sera nero con pailletes, riuscendo a comunicare attraverso il suo sguardo e il suo sorriso i sentimenti gioiosi della donna.
All’epoca delle persecuzioni razziali questo periodo di felicità si era già chiuso.
dipintoAnche il figlio minore Sergio era morto di tifo nel giorno del suo trentesimo compleanno nel settembre 1937, ma dalla sua unione con una giovane donna di Gemona sarebbe nata dopo sei mesi una bambina; è stata questa nipotina, Grazia Levi, a decidere che la nonna “doveva tornare a casa” donando il suo ritratto alla comunità ebraica cui era appartenuta.
Il generoso atto di Grazia Levi è stato molto apprezzato e tante persone si sono riunite in via Farini per ammirare il grande quadro, ascoltarne la storia, ringraziare la donatrice come a nome di tutta la Comunità ha fatto il vicepresidente Davide Sadun. Dopo il sentito intervento di Grazia Levi il pubblico ha seguito con vivo interesse la biografia del pittore tracciata con competenza da Dora Liscia, direttrice del museo ebraico, che ha messo ben in evidenza come questo quadro, del pittore trentenne, rimanga quasi un pezzo unico, perché dopo un soggiorno a Parigi, dove prese la sifilide che lo porterà alla pazzia, Gino Rossi cambiò completamente stile ed anche a seguito dei traumi della guerra di trincea trascorrerà la sua esistenza in manicomio. Dopo pochi anni non prenderà più in mano i pennelli, anche se sopravviverà fino al 1947.
Ora la sua pittura è stata rivalutata, il suo capolavoro giovanile troverà degno posto nel nostro museo ma nel caso sarà anche esposto in altre sedi mantenendo così viva la memoria di Lucia Levi.

Lionella Viterbo

(12 maggio 2015)