Sopravvivere all’abisso della Storia
Due appuntamenti dedicati al valore della Memoria sono stati tra i protagonisti della giornata inaugurale del Salone Internazionale del Libro di Torino e hanno offerto al numeroso pubblico presente due testimonianze d’eccezione: quella di Halina Birenbaum che ha raccontato la propria esperienza di ragazza chiusa dentro il ghetto di Varsavia e poi deportata nei lager nazisti e quella di Tatiana Bucci, sopravvissuta ad Auschwitz, intervenuta alla presentazione del libro “Bombardare Auschwitz” di Umberto Gentiloni Silveri.
“Mi vedete, sono piccola, eppure la storia che vi racconterò è grandissima”. A parlare è Halina Birenbaum, Testimone della Shoah sopravvissuta ai campi di concentramento di Majdanek e Auschwitz e divenuta scrittrice e poetessa.
L’occasione nasce dalla pubblicazione del suo libro “La speranza è l’ultima a morire”, pubblicato dalla Casa Editrice del Museo di Auschwitz-Birkenau e portato in Italia dall’Associazione Terre di Fuoco e dal Treno della Memoria di Torino.
Davanti ad un numeroso pubblico accorso per ascoltare la sua vicenda, Birenbaum – introdotta da Michele Curto e da Jadwiga Pinderska, direttrice della Casa Editrice Museo Auschwitz – ha raccontato la sua vita. “Sono nata a Varsavia nel 1929, ho perso tutta la mia famiglia nei campi di concentramento e ho passato cinque anni in quello che è riconosciuto come l’abisso della storia”.
“Nel 1939 – continua – Varsavia era invasa da da aerei e la nostra via di casa venne distrutta. Iniziammo a vagare ma, nonostante fossimo in condizioni drammatiche e precarie, mio fratello continuò ad istruirmi perché non voleva diventassi analfabeta. Grazie a lui ho imparato a conoscere Dante, ho imparato il potere delle parole”. “Poi – prosegue – ci rinchiusero nel ghetto e cominciò una nuova fase della nostra vita. Lì ho appreso che la vita umana non era più considerata un valore. E quando iniziarono i rastrellamenti e le deportazioni, l’imperativo della mia famiglia divenne solo uno: trovare un nascondiglio”.
E per la Birenbaum le uniche parole da usare e cercare ancora risuonano: rifugio, sotterraneo, cantine, posto di blocco: “Alla fine riuscirono a prendere mio padre: l’ultima immagine che ho di lui è nel momento in cui i tedeschi lo fecero salire sul treno a forza di calci e pugni e lui si fece schermo con le mani. Lo ricordo così e di lui non mi è rimasta nemmeno una fotografia”.
Dopo aver corrotto un poliziotto ed essersi nascosti per un altro po’, Halina, sua madre suo fratello e sua cognata vengono deportati. Prima di questo riescono però ad assistere all’eroica rivolta del ghetto di Varsavia. “Arrivati al campo di concentramento – racconta – mandarono subito mia madre nella ‘doccia’ e lì morì. A quel punto mia cognata mi disse che dal quel momento mi avrebbe fatto lei da madre. Poi i ruoli si invertirono e lei divenne troppo debole. Mi toglievo dalla bocca le mie misere porzioni di cibo per aiutarla ma alla fine morì anche lei”. “Quando tornai – conclude Birenbaum – ero una pietra. Non credevo sarei più stata in grado di provare gioia. Poi sono avvenuti due eventi: è nato mio figlio e ho pubblicato il mio libro. E ho pianto, pianto di gioia”.
“Ma perché gli alleati non hanno bombardato Auschwitz?”.
Questa la domanda scomoda che il direttore della Stampa Mario Calabresi ha posto allo storico Umberto Gentiloni Silveri, ispirandogli l’ultimo libro dello pubblicato da Mondadori “Bombardare Auschwitz” e presentato al Salone del Libro di Torino.
“Quando feci questa domanda – spiega Calabresi – eravamo in visita al campo di sterminio Auschwitz-Birkenau in un viaggio organizzato dalla Regione Lazio. Dopo aver ascoltato la sua risposta gli ho consigliato senza alcuna remora di scriverne un libro”.
“Perché non hanno bombardato il tristemente celebre campo di concentramento nazista? – fa eco Silveri – Le ragioni sono diverse: non c’è dubbio che gli alleati sapessero cosa avveniva ad Auschwitz e che poterono contare perfino sulle testimonianze di chi riuscì miracolosamente a fuggire. Ma probabilmente pensarono che il loro obbiettivo era quello di vincere la guerra e non una battaglia. E per loro Auschwitz era solo una delle tante battaglie. A livello tecnico poi l’idea di far saltare i binari del treno non avrebbe funzionato perché i nazisti riuscivano a ricostruirli in pochi giorni. Infine avranno valutato il fatto che la guerra sarebbe finita di lì a poco e che non ne sarebbe valsa la pena”.
Se Silveri racconta quello che succede in cielo tra gli aerei degli alleati, Tatiana Bucci, Testimone della Shoah e sopravvissuta ad Auschwitz con la sorella Andra, spiega ciò che avvenne a terra, all’interno del campo: “Noi eravamo di Fiume e all’inizio non capivamo molto di quello che stava avvenendo, avevo 6 anni e non potei iniziare la prima elementare. A denunciare la mia famiglia ed io fu una spia che denunciò praticamente tutta la Fiume ebraica. Venimmo prima portati alla Risiera di San Sabba e poi iniziò il nostro terribile viaggio verso Auschwitz. Di quel lungo tragitto mi rimase impressa una immagine e un dolore particolare: per fare i nostri bisogni c’era un secchio all’angolo del vagone e con noi viaggiava nostra nonna. Ora che ci ripenso non posso che provar un malessere terribile riflettendo su quanto questo particolare fosse umiliante per le donne, specie per quelle anziane. Quello fu l’inizio della perdita della dignità umana”.
“Mia sorella ed io – continua – ci salvammo dalla morte certa perché venimmo scambiate per gemelle e prese in custodia dal terribile dottor Mengele. Molti non riuscirono a sopravvivere ai suoi esperimenti ma noi fortunatamente siamo qui e una volta usciti dal campo riuscimmo miracolosamente a ricongiungerci sia a papà che a mamma”. “Ogni volta che ripenso ad Auschwitz – conclude Bucci – mi viene in mente una sola cosa: un cumulo, un cumulo enorme di morti”.
In conclusione Francesca Paci ha anticipato il suo e-book pubblicato dalla Stampa “Se chiudo gli occhi muoio” (che verrà presentata o al Salone il 18 maggio alle 14.00) nel quale ha intervistato cinque sopravvissuti della Shoah: “Quando chiesi se fosse possibile bombardare Auschwitz a uno di loro . dice Paci – mi rispose: certo, gli alleati sapevano di Auschwitz fin dal 1941”.
Rachel Silvera twitter @rsilveramoked
(15 maggio 2015)