Tradurre Primo Levi
Scegliere la parola giusta, arrovellarsi per veicolare un concetto, essere coerenti. Sono queste le sfide che la traduttrice americana Ann Goldstein ha dovuto affrontare per realizzare l’edizione americana dell’opera completa di Primo Levi che verrà pubblicata il prossimo autunno da Norton-Liveright.
Con Fabio Levi, direttore del Centro Primo Levi e il critico letterario Domenico Scarpa, Goldstein – che ha fatto conoscere al pubblico americano il caso letterario Elena Ferrante, oltre ad aver rielaborato nuove traduzioni di Giacomo Leopardi – è stata protagonista di un appuntamento al Salone del Libro di Torino per presentare il volume “In un’altra lingua” (ed. Einaudi) dedicato alla sesta “Lezione Primo Levi” (l’annuale appuntamento torinese del Centro Primo Levi) tenuta con Scarpa e che si è concentrata sul rapporto tra lo scrittore piemontese e la traduzione.
A introdurre il convegno, al quale hanno partecipato i figli di Primo Levi, Renzo e Lisa, e il presidente della Comunità ebraica di Torino Dario Disegni, è stato il direttore del Salone Ernesto Ferrero: “L’opera di Levi è assimilabile a quella di un antropologo che smonta e rimonta un evento per spiegarlo alle persone. Non si fa prendere dall’emotività ma continua fermo la sua analisi. Primo Levi è stato egli stesso un traduttore, non solo perché ha citato alcune parti della Ballata del vecchio marinaio di Coleridge o di Heine ma perché ha dovuto inventare un linguaggio per tradurre qualcosa di impossibile da raccontare o spiegare come la Shoah. Penso che la versione americana della sua opera omnia porterà una svolta storica nella diffusione di questo autore fondamentale”.
“La traduzione di tutti i libri di Primo Levi – aggiunge Fabio Levi – ci aiuterà ad avere un quadro diverso, una angolatura inedita, esattamente come è stato con la mostra ‘I mondi di Primo Levi’ che si è appena chiusa a Torino”.
A farci entrare nello studio del traduttore tra fogli affastellati e pile di libri è Ann Goldstein che entra nel vivo del problema: “Spesso mi è capitato di bloccarmi di fronte ad una singola parola che non sapevo come tradurre, allora mi rivolgevo a Domenico Scarpa e gli scrivevo una e-mail con i miei dubbi e le domande. Dopo il suo responso valutavo la scelta definitiva”. Dubbi di fronte a modi di dire come ‘Cristo in croce’ o parole come ‘Coscienza di sé’, ma anche, come ha rilevato Scarpa, quel ‘tiepide case’ dell’indimenticabile poesia di Levi che nei precedenti inglesi veniva erroneamente tradotto come ‘warm houses’.
“Primo Levi – spiega Domenico Scarpa – ha dovuto inventarsi una lingua mista perché l’italiano standard non andava bene. Doveva trovare una lingua non usata ed usurata per raccontare la propria esperienza. Se dovessi definire l’edizione americana con una parola, userei Consistency, coerenza. Una scelta non a caso visto che Consistency doveva anche essere il titolo dell’ultima lezione americana di Italo Calvino che poi non pronunciò perché morì. E in quasi 3000 pagine di Levi tradotto, la coerenza è stato sempre il cardine delle scelte linguistiche e formali”.
“Ho avuto qualche difficoltà a tradurre le parole più scientifiche – continua Goldstein – per esempio la parte del ‘Sistema periodico’ nel quale Levi da bravo chimico spiega il procedimento per misurare la glicemia nei conigli. Mi sono poi chiesta come rendere la meglio il gusto per l’allitterazione dall’autore; giochi linguistici come ‘Capaneo e Calibano’ o ‘freddo e fame'”.
“Quando Primo Levi sceglieva le parole – conclude Scarpa – era attento alla loro etimologia, spiegava per esempio che se uno sa che ‘scatenare’ significa liberarsi dalle catene, riuscirà a utilizzare meglio il proprio patrimonio linguistico. La sua opera completa uscirà in America il prossimo autunno in coincidenza con i 70 anni della Liberazione e sarà un seconda liberazione: quella di Primo Levi che finalmente verrà celebrato non solo come Testimone, ma come uno degli scrittori più importanti della letteratura italiana”.
Rachel Silvera twitter @rsilveramoked
(15 maggio 2015)