Israele e la voce del Vaticano sui negoziati con i palestinesi
Spazio sui quotidiani di oggi all’incontro tenutosi ieri in Vaticano tra papa Bergoglio e il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas. Un’udienza, spiega l’Osservatore Romano – da sottolineare come il quotidiano vaticano definisca Abbas “presidente dello Stato di Palestina -, in cui si è parlato dell’accordo in via di definizione tra Santa Sede e autorità palestinese così come dei negoziati di pace con Israele. L’auspicio espresso dal Vaticano è “che si possano riprendere i negoziati diretti tra le parti per trovare una soluzione giusta e duratura al conflitto. A tale scopo si è ribadito l’augurio che, con il sostegno della comunità internazionale, israeliani e palestinesi prendano con determinazione decisioni coraggiose a favore della pace”. Il tentativo palestinese, come rivela l’irritazione espressa dall’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede Zion Evrony, è di usare l’arma diplomatica per costringere Israele a riconoscere lo Stato palestinese. “È increscioso che Abu Mazen usi forum internazionali per attaccare Israele e si astenga dal tornare ai negoziati che sono il giusto modo di attuare una soluzione di pace”, il commento dell’ambasciatore (La Stampa). Molta risonanza sui media (Repubblica e Sole 24 Ore, tra gli altri) hanno poi avuto le parole di Bergoglio durante il conferimento di una medaglia al presidente dell’Anp. “Questa medaglia distrugge lo spirito cattivo della guerra. Lei sia un angelo di pace”, l’auspicio rivolto dal pontefice ad Abu Mazen, protagonista lo scorso anno di un incontro in Vaticano con l’allora presidente di Israele Shimon Peres.
Il significato delle mosse vaticane. Lettera a Corrado Augias (Repubblica) di Bruno Segre, scrittore e saggista, secondo cui “il riconoscimento dello Stato di Palestina annunciato dal Vaticano” sarebbe “un passo fondamentale in direzione della pace nel Vicino Oriente”. D’accordo Augias, per cui l’azione di Bergoglio “coincide con quella di una robusta corrente di opinione israeliana che condivide queste speranze di pace, le sole che potrebbero assicurare un avvenire alla tormentata regione, beninteso con confini sicuri e riconosciuti per Israele”. L’intervento vaticano, che prefigura un riconoscimento indiretto dello Stato palestinese, è stato però criticato da Israele, che nelle ultime ore ha sottolineato come le azioni diplomatiche unilaterali non siano d’aiuto al processo di pace.
Ungheria, il cuore nero dell’Europa. Reportage da Budapest di Tonia Mastobuoni (La Stampa), in cui si descrive la deriva autoritaria del paese, legata al nazionalismo del Primo ministro Victor Orban. Il premier – spiega la giornalista – nega il passato nazista del Paese e solletica gli xenofobi. Ma è insidiato da destra”, in particolare dal partito antisemita Jobbik, che cerca di camuffare il suo vero volto per ottenere maggiori consensi.
Pena di morte a Morsi. La Corte egiziana ha emanato la sua sentenza contro il leader dei Fratelli Musulmani Mohammed Morsi: la pena di morte. Dopo essere stato eletto alla presidenza nel 2012 e deposto l’anno seguente dall’esercito egiziano (a succedergli al Cairo, il generale Al Sisi), Morsi è stato incarcerato e processato (Repubblica). La sentenza non è ancora definitiva ma dall’Occidente diverse voci chiedono la sospensione della pena capitale. Per Franco Venturini (Corriere della Sera) l’Europa deve intervenire in favore di Morsi perché altrimenti il conflitto inter-islamico si inasprirà, destabilizzando una regione che costituisce già una polveriera.
Il regime di siriano traballa. Il presidente Assad nelle ultime settimane “ha perso una città importante come Jisr al-Shughour, capitale della provincia di Idlib” scrive Davide Frattini sul Corriere e potrebbe perdere Palmira e abbandonare le sue meraviglie archeologiche alla furia dello Stato Islamico. Per i generali di Assad non è solo patrimonio dell’Unesco da proteggere: è un’altra porta a est da dove i fondamentalisti potrebbero premere verso Damasco”.
Daniel Reichel
(17 maggio 2015)