Qui Torino – Salone del Libro
“Mio nonno mi avrebbe sparato”

FullSizeRender (1)Una storia che parla d’identità. Così la giornalista Daria Bignardi riassume l’incredibile racconto di Jennifer Teege, di madre tedesca e padre nigeriano, adottata da piccola, che ha scoperto all’età di 38 anni il nome del nonno biologico: Amon Goth, il gerarca nazista che fu il comandante del campo di concentramento di Płaszów (vicino a Cracovia) diventato celebre con il film di Steven Spielberg Shindler’s list. ‘Amon, mio nonno mi avrebbe sparato’, il titolo del libro autobiografico di Teege, presentato domenica al Salone del Libro di Torino.
Jennifer racconta di aver visto Schidler’s List in televisione, ben prima di conoscere la sua vera storia, mentre si trovava ancora a Tel Aviv dove studiava all’università. La scrittrice ha infatti vissuto in Israele per nove anni, parla ebraico e ha moltissimi amici che vi abitano e questo, racconta, ha aggravato lo shock nell’apprendere l’oscuro segreto della sua famiglia. “In un primo momento con loro non riuscivo ad aprirmi, avevo paura della reazione che avrebbe causato in loro che in tanti avevano perso la loro famiglia nei campi durante la Shoah, magari qualcuno proprio a Płaszów”, ha raccontato. Un anno e mezzo dopo, quando è finalmente riuscita a parlarne, il risultato è stato inaspettato: “Era un momento difficile, avrei potuto rimanere completamente sola a piangere, e invece i miei amici mi hanno dimostrato un’empatia straordinaria, hanno pianto con me e da quel giorno la nostra amicizia si è consolidata”.
La scoperta è avvenuta nel 2008, quando Teege ha trovato un libro mentre faceva ricerche in una biblioteca di Amburgo. Il libro, dal titolo ‘Devo amare mio padre, giusto?’, aveva in copertina un volto familiare, quello di sua nonna biologica. Tra le sue pagine Jennifer ha trovato informazioni sulla sua famiglia che non le erano mai state svelate, e da lì la sua vita non è mai più stata a stessa. “Il segreto della mia famiglia era tossico – ha evidenziato Teege – lo shock è stato doppio perché io non riuscivo ad affrontare il fatto che mi fossero state nascoste quelle cose”. Prima infatti non sapeva niente di sua mamma – tedesca, che aveva avuto una breve storia con un uomo nigeriano –  e di sua nonna, delle quali ricordava poco e con le quali aveva tagliato i rapporti dalla sua infanzia, né tantomeno era a conoscenza di chi fosse suo nonno. “Mi sono spesso chiesta se al posto di mia nonna avrei potuto chiudere gli occhi sapendo quali azioni compiva mio marito”, ha detto l’autrice.
Da quel momento tutti i rapporti sono cambiati per Jennifer: il rapporto con la sua famiglia biologica, quello con la sua famiglia adottiva, quello con il suo essere una donna di colore in Germania, quello con la Storia, quello con Israele, quello in ultima analisi appunto con la sua identità. Tutte queste tematiche sono state affrontate in un complesso affresco nell’incontro al Salone. “Il mio libro narra una storia universale, ma allo stesso tempo particolarissima, davvero una su un milione”, osserva la scrittrice. “Credo che il suo valore – conclude – risieda sia nel mio rapporto con Israele e nel fatto che parlo ebraico, sia anche proprio nella casualità che ha caratterizzato la mia scoperta, avvenuta in una biblioteca con migliaia di libri, in un giorno qualunque”.

Francesca Matalon

(17 maggio 2015)