Qui Trieste – Il laboratorio di studi Memoria, la seconda generazione
Il Laboratorio permanente sulla Memoria e sull’uso della Storia, istituito dalla Provincia di Trieste nel 2012, ha offerto un’importante occasione per comprendere ciò che il passaggio della Memoria alle seconde generazioni ha comportato e quali traumi abbia generato.
Nel corso del convegno internazionale “Passaggi di Memoria – La trasmissione generazionale del trauma” si sono potuti ascoltare importanti studiosi, italiani e stranieri, che hanno affrontato il tema attraverso un’ottica interdisciplinare, indispensabile per l’analisi di un tema così complesso e articolato: gli storici si sono confrontati con gli psicologi e gli psicanalisti in un dialogo che ha portato anche alla condivisione di termini, come “trauma”, tipici di discipline specifiche, dimostrando così quanto sia necessario uscire da contesti autoreferenziali per essere in grado di agire in modo adeguato in situazioni che, avvenute decenni fa, continuano a generare conseguenze ancora oggi nei singoli e nei gruppi sociali.
Tre le sessioni di discussione: “Trasmissioni e accoglimenti”, moderata da Giacomo Todeschini – Università di Trieste, ha visto alternarsi storici come Alessandro Casellato (il funzionamento della memoria all’interno delle famiglie), e William P. Caferro, (come gli storici italiani dell’Ottocento abbiano spiegato l’arte della guerra nel Medioevo e nel Rinascimento in base agli eventi politici a loro contemporanei), a psicologi o psicanalisti, come Jael Kopciowski (l’importanza della percezione del passato per poter vivere in modo equilibrato il presente e visualizzare il futuro) e Paolo Fonda (la modificazione del concetto di “Nazione” come punto di partenza per riflettere su come venga vissuta oggi l’identità etnica); con “Sopravvivenze e negazioni”, moderata da Anna Maria Vinci, l’attenzione si è focalizzata maggiormente sulle narrazioni, viste da diverse prospettive (psicoanalitica con Ambra Cusin e di storia orale con Giovanni Contini e Christoph U. Schminck-Gustavus) cui si è aggiunto Guido Alfani che ha focalizzato l’attenzione sui cambiamenti nella distribuzione della ricchezza a seguito delle pestilenze nel periodo che va dal XIV al XVIII secolo; nell’ultima sessione, “Governare il trauma”, moderata da Gloria Nemec, si è analizzato il passaggio del trauma della Shoah dalla prima alla seconda e alla terza generazione (Dina Wardi), a come la memoria di questi eventi sia stata vissuta in Germania (Christoph Cornelissen) per arrivare a come la tradizione ebraica abbia affrontato, nel corso dei secoli, i traumi collettivi vissuti dalle diverse comunità.
Il ‘900, “il secolo breve”, è stato il periodo in cui guerre e sistemi totalitari hanno provocato la morte di milioni e milioni di persone, più che in ogni altro secolo passato. Alle sofferenze subite e agli orrori cui assistettero, i sopravvissuti dovettero affrontare, tornati a casa, anche l’isolamento rispetto a chi, non avendo condiviso lo stesso destino, non sapeva o non voleva capire quello che era accaduto. A poco a poco emersero i racconti, le testimonianze cominciarono ad essere raccolte e l’attenzione si pose su chi “c’era stato” e su quello che era successo, per ricostruire e per evitare che si perdesse la memoria. Questa preoccupazione mise in secondo piano la quotidianità dei sopravvissuti, il modo in cui questi traumi furono vissuti in famiglia, l’effetto sui figli di queste persone. Ora, per mantener viva la memoria, bisogna coinvolgere le seconde generazioni ed ecco che ci si rende conto che, in questi casi, l’analisi storica e la ricerca non bastano più e diventa necessario iniziare un dialogo con altre discipline, accedere a quanto era, fino a qualche tempo fa, patrimonio dell’esperienza degli psicoanalisti o emergeva dalle opere di scrittori figli di sopravvissuti: persone che si sono trovate a svolgere fin da piccoli il ruolo di testimoni loro malgrado, di sostegno dei propri genitori, pur vivendo nel silenzio su quanto avvenne o nella difficoltà di accedere ad una narrazione completa, non frammentata. Furono tanti i traumi provocati dai totalitarismi e dalle guerre, ognuno con le proprie specificità e molteplici le “seconde generazioni di sopravvissuti”; su di loro gli effetti possono essere stati in qualche modo simili. Il convegno si è chiuso con la speranza che queste nuove aperture tra ambiti accademici finora distanti possano essere d’esempio per altri incontri, per aprire un dialogo più ampio che aiuti ad accogliere e portare avanti in modo meno traumatico un peso così grande.
Paola Pini
(17 maggio 2015)