Qui Roma – “Rav Toaff, Maestro di tutti”

Schermata 05-2457163 alle 12.51.09Gli allievi di un tempo, i rabbini di oggi. Uniti nel ricordo del rav Elio Toaff a un mese della scomparsa, in un Tempio maggiore segnato da ricordi e testimonianze che sono fluiti prima di tutto dal cuore. Con il rabbino capo di Roma e suo successore rav Riccardo Di Segni, che ha preso il suo posto nel 2001 e che ha parlato come di un uomo “straordinario ed efficace anche nella quotidianità” e non solo nei grandi appuntamenti della Storia, tanti i Maestri che hanno voluto onorarne la memoria tra cui rav Alberto Funaro, rav Benedetto Carucci Viterbi, rav Roberto Colombo, rav Gianfranco Di Segni e rav Umberto Piperno.
“Il rav Toaff dava un valore particolare alla Teshuvah, il pentimento. Verso la fine dell’anno scolastico entrava in ogni classe accompagnato dal maestro Eliseo e parlava con chi non si era comportato bene. Per lui – spiegava ieri rav Funaro – la gioia più grande era vedere qualcuno che faceva teshuvah”.
Rav Gianfranco Di Segni al proposito rievoca la lezione biblica che vuole che il S. si recò prima da Abramo e poi da Giacobbe per dir loro che i figli di Israele avevano peccato ma che entrambi risposero di punire il popolo. Isacco invece cominciò a contrattare fino ad annullare la punizione e gli ebrei, ha spiegato,” furono talmente grati fino a redimersi da soli e rendere merito al nome di D-o”.
“Perché chi possiede un campo non può tagliare tutte le spighe di grano? “Perché – afferma rav Colombo – quello che rimane deve essere a disposizione del povero. Le spighe devono però essere tagliate dal povero in modo da fargli fare un lavoro e non esagerare per avere un ringraziamento e fare del bene falso. Questo discorso mi colpì particolarmente perché lo fece rav Toaff durante il mio matrimonio: spiegò che avrei dovuto vivere la mia vita e il lavoro per la comunità senza cercare sempre un ringraziamento. Il ringraziamento più grande, mi disse, lo avrai ogni sera quando potrai guardarti allo specchio”.
“Durante un ciclo di lezioni – ricorda rav Carucci – rav Toaff spiegò la pena del Karet e la definì come un riassorbimento nell’indefinito, il momento in cui non si è più un individuo. Spiegò che apparentemente poteva sembrare una cosa buona, non una punizione, ma che in realtà il massimo premio ed elevazione che si può raggiungere è il mantenimento di una identità individuale, riconoscersi”.
Se il sorriso, la arguzia toscana hanno sempre caratterizzato la persona del rav Toaff, “la giornata in cui si era svolto un divorzio, particolarmente di una coppia giovane, il suo volto si oscurava”. Lo ha spiegato in un recente scritto apparso su Pagine Ebraiche 24 il rav Umberto Piperno, sottolineando come nel corso della procedura la mente del rav Toaff si concentrasse “sugli innumerevoli dettagli della scrittura, la ricerca accurata e l’indagine sui nomi e i soprannomi”.

(20 maggio 2015)