La cultura e gli ideali di libertà
per le celebrazioni del 2016
Cinquecento anni dall’istituzione del Ghetto di Venezia. Il mezzo millennio di storia che sarà ricordato con molte iniziative di grande prestigio attorno alla realtà ebraica veneziana non deve essere motivo di festeggiamenti spensierati, ma costituire piuttosto una importante occasione di approfondimento e di conoscenza, di riflessione sui valori comuni dell’Europa di oggi e di domani. Ognuna dal proprio specifico orizzonte, sono tutte concordi le diverse voci intervenute nella prima uscita pubblica del Comitato costituito a Venezia per affrontare una scadenza fondamentale nell’agenda culturale 2016 della città lagunare.
Dal rabbino capo di Venezia Scialom Bahbout, che ha accolto i visitatori nella gloriosa Scola Canton, una delle più preziose sinagoghe italiane, al presidente della Comunità veneziana Paolo Gnignati, che presiede anche il Comitato “ I 500 anni del Ghetto di Venezia”. Dalla direttrice del Comitato scientifico per “I 500 anni del Ghetto di Venezia” Donatella Calabi, al presidente della Fondazione Musei civici di Venezia Walter Hartsarich, alla direttrice della stessa Fondazione Gabriella Belli.
I protagonisti già al lavoro per questo appuntamento che il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha voluto definire nel suo intervento conclusivo “di rilievo nazionale, europeo e mondiale” cominciano ora a declinare i grandi snodi di un programma culturale estremamente ambizioso. E il mondo della cultura, della politica e dell’economia risponde con attenzione. Il prossimo sindaco di Venezia, che attende la consacrazione del voto nei prossimi giorni, sarà al timone assieme al presidente della Comunità e del Comitato stesso.
Toto Bergamo Rossi, direttore della Fondazione Venetian Heritage Onlus, ha illustrato i primi incoraggianti risultati di una grande campagna internazionale di raccolta fondi per salvaguardare e valorizzare un patrimonio culturale ebraico che non ha pari al mondo. Mentre il presidente dell’Associazione Veneziana Albergatori Vittorio Bonacini ha assicurato che gli imprenditori del turismo veneziano faranno la loro parte, non solo offrendo servizi adeguati a una clientela che desidera giungere dal mondo intero, ma anche chiedendo già a partire dalle prossime settimane a tutti gli ospiti di essere protagonisti, con un piccolo, ma altamente simbolico contributo economico, alla riuscita delle manifestazioni del 2016.
“Il concetto di ghetto – ha ricordato il presidente UCEI, che ha voluto portare in Laguna il saluto e il sentimento di partecipazione dell’intera realtà ebraica italiana – evoca sentimenti laceranti. Ma questo anniversario deve rappresentare una occasione per esprimere la grande speranza europea che gli ebrei condividono con tantissimi cittadini di un futuro migliore del nostro passato”.
“Il cinquecentesimo anniversario del Ghetto non deve essere celebrato, ma non può comunque passare inosservato e sfruttato come momento di riflessione” ha sottolineato il presidente della Comunità ebraica veneziana Paolo Gnignati. “Si tratta – ha aggiunto – di una storia straordinaria, perché questo quartiere può raccontare a tutto il mondo il contributo culturale e artistico che la Comunità, interagendo con la società circostante, ha saputo fornire nonostante le condizioni restrittive che le erano state imposte”.
Un’impostazione condivisa dal rabbino capo Scialom Bahbout. “Confinati in spazi così angusti – le sue parole – gli ebrei non hanno perso la speranza, si sono dati da fare, hanno creato cultura e associazionismo solidale per aiutare che aveva maggiore bisogno, hanno addirittura creato i primi grattaceli della storia. Come dice il Salmo 30: Non hanno dato ai propri nemici occasione per rallegrarsi a causa loro”.
Tre i progetti principali elaborati in vista dell’anniversario, cui si affiancherà un ricco calendario di iniziative portate avanti da soggetti diversi. A partire dalla mostra “Venezia, gli Ebrei e l’Europa. 1516-2016″, frutto di una collaborazione tra il comitato scientifico guidato dalla professoressa Donatella Calabi, massima esperta di storia urbana del Ghetto, e la Fondazione Musei Civici di Venezia, che si aprirà in primavera. Obiettivo della mostra è quello di mettere in luce la ricchezza dei rapporti “tra ebrei e città, tra ebrei e società civile” nei diversi periodi della lunga storia della loro permanenza in laguna, in area veneta e in area europea e mediterranea. Attraverso una grande varietà di materiali storici ed artistici, l’oggetto di indagine non sarà quindi ristretto all’area specifica dei tre ghetti veneziani, ma si tenterà di dar conto delle relazioni culturali, linguistiche, attinenti alle arti e mestieri che la minoranza ebraica ha intessuto con l’esterno.
Secondo progetto che andrà realizzandosi il restauro, l’ampliamento e il rinnovamento del museo ebraico cittadino attraverso la raccolta fondi lanciata dal Venetian Heritage nel novembre 2014 nell’ambito delle attività dei Comitati Privati Internazionali per la salvaguardia del capoluogo veneto. In particolare sarà aggiunta una nuova ala al museo e saranno aumentati i fondi in esposizione.
Infine la serata di gala in programma al teatro La Fenice il giorno esatto del Cinquecentenario, alla presenza di personalità internazionali del mondo della scienza, dell’economia, dell’arte e della cultura. A guidare l’orchestra sarà un direttore di fama, con un programma musicale appositamente pensato insieme al direttore artistico del Teatro La Fenice Fortunato Ortombina.
“Più forti delle difficoltà”
Si usa leggere il salmo 30 quando si inaugura una casa o meglio quando si vuole dedicare qualcosa a svolgere una determinata funzione. Perché abbiamo scelto questo salmo per annunciare che l’anno prossimo ricorrono 500 anni dall’istituzione del Ghetto di Venezia, cosa che ovviamente non può e non deve certo essere occasione di gioia. Qual è il senso di questa scelta?
Troviamo nel salmo 30 molte suggestioni che danno un senso a questo momento: possiamo oggi ricordare l’istituzione del primo Ghetto – e di tutti gli altri ghetti che nel corso della storia sono stati confinati ebrei e non ebrei – perché nel bene e nel male è stata la casa degli ebrei veneziani fino alla sua apertura per opera di Napoleone. Abbiamo appena affermato: Tu, Signore, mi hai fatto salire dallo Sheòl – cioè da un posto infernale in cui non vi è vita – mi hai fatto vivere, così che non sono sceso nella fossa, e hai cambiato il lutto in danza di gioia per me, facendo risorgere in me la speranza.
Questa capacità di andare “oltre il ghetto” ha caratterizzato la storia ebraica: anche nei momenti più tremendi, sottoposti alle prove più terribili, gli ebrei non si sono dati per vinti e non hanno perso la speranza: hanno risposto trasformando momenti tragici in occasioni per rinnovarsi e per dare risposte nuove alle sfide che si ponevano davanti. Questo è stato possibile per il carattere propositivo della cultura ebraica, ma anche per sua capacità intrinseca di sdrammatizzare situazioni che avrebbero abbattuto ogni persona e ogni società.
Permettetemi di raccontare una piccolo aneddoto che ben si adatta a quanto ho appena affermato.
Il servizio meteorologico trasmette una notizia spaventosa: “Nonostante la promessa divina che non avrebbe più mandato il diluvio sulla Terra, tra due settimane la Terra verrà inondata da un diluvio che la coprirà interamente, tutti saremo sommersi dalle acque e nessuno potrà salvarsi”.
Di fronte a questa notizia che contraddice quanto Dio stesso aveva promesso, i più importanti leader religiosi, riuniscono i propri fedeli. Gli imam convocano i fedeli nelle moschee e si rivolgono loro più o meno con queste parole “Tra due settimane il Signore manderà un grande diluvio sulla Terra e tutti verremo sommersi dalle acque e nessuno potrà salvarsi: sia fatta la volontà di Allah”.
I vescovi riuniscono i propri fedeli nelle chiese e facendo lo stesso annuncio dichiarano: “Non ci rimane che rimetterci alla misericordia divina”.
I rabbini convocano i propri fedeli nelle sinagoghe e annunciano: “Tra due settimane ci sarà un nuovo grande Diluvio: Dio non ha mantenuto la sua promessa. Pazienza! Diamoci da fare, abbiamo due settimane per imparare a sopravvivere sott’acqua”.
Questa storia che caratterizza bene il modo con cui gli ebrei hanno reagito alle tragedie più terribili, cercando anche di sdrammatizzarle, si adatta bene anche al Ghetto. Confinati in spazi così angusti gli ebrei non hanno perso la speranza, si sono dati da fare, hanno creato cultura e associazionismo solidale per aiutare che aveva maggiore bisogno, hanno addirittura creato i primi grattaceli della storia, come dice il Salmo 30: “Non hanno dato ai propri nemici occasione per rallegrarsi a causa loro”.
Ecco oggi siamo qui per ricordare quel momento triste, ma anche per dire che siamo ancora vivi e abbiamo ancora molte idee e molte proposte innovative per dare un senso alla nostra presenza qui per andare appunto “oltre il Ghetto”.
Scialom Bahbout, rabbino capo di Venezia
(21 maggio 2015)