Le Occasioni di Montale

Francesco Moisés Bassano“Non il grillo ma il gatto / del focolare / or ti consiglia, splendido / lare della dispersa tua famiglia. // La casa che tu rechi / con te ravvolta, gabbia o cappelliera?, / sovrasta i ciechi tempi come il flutto / arca leggera – e basta al tuo riscatto.”
Tra i poeti e gli scrittori del Novecento italiano, Eugenio Montale (1896- 1981), pur non avendo origini ebraiche, ha vissuto in prima persona la perdita e la persecuzione di coloro, amici e amanti, che subirono le leggi razziste fasciste, e sono state indotte a causa di esse a lasciare l’Italia.
Molte poesie della raccolta “Le Occasioni” (1939) lo testimoniano, e conservano tracce di una sorta di ‘spirito ebraico’. La raccolta stessa è dedicata ad Irma Brandeis (1905-1990), discendente di un’antica famiglia di ebrei austro-boemi, costretta a fuggire nel 1938 negli Stati Uniti e ad interrompere così la relazione sentimentale che aveva instaurato con Montale nel 1933. La Brandeis sarà la donna-angelo delle Occasioni, specie nella sezione dell’opera i “Mottetti”, ma anche altre liriche avranno come protagoniste figure femminili di origine ebraica, come Dora Markus, Gerti Frankl, e Ljuba Blumenthal soggetto della poesia che ho citato “A Liuba che parte” (1938). Personalità legate soprattutto all’ambiente intellettuale e mitteleuropeo triestino, dove Montale aveva stretto amicizia con Italo Svevo, Umberto Saba e Roberto Bazlen. In “A Liuba che parte”, viene descritta l’imminente partenza di Liuba per l’Inghilterra, il Gatto del primo verso è il “lare”, protettore del focolare domestico, “della famiglia d’origine e dunque della stessa identità ebraica” – come è spiegato da Tiziana de Rogatis nell’introduzione della poesia -, quell’”arca leggera”, designante la gabbia / cappelliera è un riferimento all’arca biblica, che porta in salvo, il gatto-nume tutelare, assicurando così una continuità alla vita della donna ed all’eredità ebraica, in mezzo ai “flutti” di quei “tempi bui” e tempestosi che sconvolsero l’Europa. Una ‘casa’ precaria ed errante, topos che riflette l’interminabile esodo del popolo ebraico da una sponda all’altra, e che del resto ricorda l’essenza stessa del Signore e della sua dimora, come è scritto nel libro secondo di Samuele (7: 5-7): “Così ha detto il Signore: Pensi tu di costruirmi una casa per Mia residenza? Ma Io non ho mai risieduto in una casa dal giorno in cui trassi i figli di Israele dall’Egitto fino ad oggi, e sono sempre andato da un luogo all’altro in una tenda, cioè nel Tabernacolo. E durante tutto il tempo in cui sono andato di luogo in luogo, ho forse detto ad alcuno dei capi d’Israele, ai quali ho comandato di guidare il popolo: Perché non Mi avete costruito una casa di legni di cedro?”

Francesco Moises Bassano

(22 maggio 2015)