Risarcita dopo le leggi razziste Lo Stato riconosce il dolore di Edi

edi bueno“Dopo quasi dieci anni di iter legale possiamo ritenerci soddisfatti: finalmente lo Stato ha riconosciuto le sofferenze di mia zia durante il nazifascismo”. A raccontare a Pagine Ebraiche la vicenda di Edi Bueno, ebrea livornese a cui l’infamia delle leggi razziste negò la possibilità di frequentare la scuola, è il nipote Mario. Dopo 80 anni e una lunga battaglia legale, sua zia Edi ha ottenuto dalla Corte dei Conti il riconoscimento dell’ingiustizia subita e un vitalizio di benemerenza come risarcimento.
Edi aveva solo 7 anni quando la cacciarono da scuola perché ebrea e si trovò investita da una sequenza di piccole e grandi umiliazioni: “Nella mia famiglia – racconta Mario Bueno – si è tramandata di generazione la terribile immagine del gelato negato per strada ad una bambina, zia Edi, solo perché ebrea. Un’immagine inconcepibile”.
Fino al ’38 i Bueno erano infatti perfettamente inseriti nella città di Livorno, possedevano un negozio di merceria e conoscevano gran parte degli abitanti: “Loro si sentivano completamente italiani pur non negando la loro identità ebraica – spiega Mario – avevano nomi italiani e si fidavano completamente delle istituzioni accanto alle quali erano cresciuti di generazione in generazione”.
Una storia spezzata poi dall’avvento del nazifascismo: “La madre di Edi, mia nonna, e suo figlio – prosegue – si consegnarono ai carabinieri, riponendo fiducia in loro, vennero deportati ad Auschwitz e non tornarono mai più. Mio nonno invece sentì dentro di sé il pericolo e decise di nascondere suo figlio, cioè mio papà Sirio, ed Edi a Marlia e a Capannori dove riuscirono a riparare e salvarsi. Ed è proprio grazie alla collaborazione con il Comune di Capannori che, attraverso ricostruzioni e testimonianze, le sofferenze di mia zia sono state riconosciute dalla Corte dei Conti. Voglio però precisare che i famigliari che si consegnarono all’epoca alle autorità non lo fecero per leggerezza: mia nonna si fidava, viveva a Livorno da tutta la vita, per lei i carabinieri erano un punto di riferimento, una tutela, non un pericolo”.
La battaglia legale di Edi Bueno per far riconoscere i suoi diritti è iniziata nel 2006: “Un percorso a ostacoli – ricorda Mario – che ha coinvolto tutta la nostra famiglia e che deve un riconoscimento particolare all’avvocato di mia zia e ad alcuni funzionari che hanno preso a cuore la vicenda. Solo così dopo aver raccolto le documentazioni per anni, sono riusciti a dimostrare la sua infanzia travagliata”.
“Ora zia Edi, di 85 anni – conclude Mario – è contentissima. Nessuno potrà davvero mai risarcirla del dolore, degli anni di scuola persi, della sua famiglia scomparsa ad Auschwitz; ma quel gelato negato e quelle meschinità subite sono state finalmente riconosciute e condannate”.

Rachel Silvera

(29 maggio 2015)