Il report del Pew Research Center
Leggere il futuro, passare ai progetti
Le nuove proiezioni demografiche globali del Pew Research Center di Washington richiamano a una seria riflessione sul futuro. Conosco personalmente l’Istituto Pew e i suoi ricercatori, sono stato loro ospite a Washington, e sono stato uno dei loro consulenti nella ricerca sull’ebraismo americano compiuta nel 2013 e in un nuovo studio sulle identità religiose in Israele in corso di elaborazione. Pew è un’organizzazione indipendente specializzata nello studio delle religioni nel mondo, ben dotata di ricercatori preparati e di mezzi di ricerca. Il nuovo studio sulla popolazione mondiale prevede un incremento da 6,9 miliardi di persone nel 2010 a 9,3 miliardi nel 2050 – un incremento totale di 2,4 miliardi. Oggi il Cristianesimo è la più diffusa religione nel mondo. Ma circa la metà dell’incremento totale previsto, 1 miliardo e 162 milioni, è costituito da musulmani, oltre a 750 milioni di cristiani, 352 milioni di hindu, 99 milioni senza religione, 44 milioni di aderenti a religioni popolari, 3 milioni di altre religioni, 2 milioni di ebrei (tutti in Israele); è anche prevista una diminuzione di un milione e mezzo nel totale dei buddisti. In almeno cinque paesi europei oggi a maggioranza cristiana nel 2050 i cristiani costituiranno meno della metà della popolazione, sostituiti come gruppo primario dagli agnostici (Regno Unito, Francia, Olanda) o dai musulmani (Macedonia, Bosnia-Erzegovina).
Una delle chiavi di questo incremento altamente differenziato sta nella diversa composizione delle religioni mondiali secondo gruppi di età. Nel 2010 la percentuale al di sotto dei 15 anni era 34% per i musulmani (la più alta), 27% per i cristiani, 21% per gli ebrei (come media di Israele che ha il 27% di bambini, e della diaspora che sta circa al 15%), e 19% per i non affiliati. L’età delle persone determina la loro possibilità di procreare e il loro rischio di morte, e dunque (a parità di condizioni) le collettività che in passato hanno avuto più figli e sono strutturalmente più giovani sono anche quelle che hanno maggiore probabilità di accrescersi in futuro. E viceversa.
Ma le religioni non sono solamente l’aggregato dei rispettivi seguaci, sono anche insiemi normativi di credenze, di modi di comportamento, di istituzioni, e di personalità dirigenti. La crescita o la diminuzione dei diversi gruppi religiosi riflette non solamente la dinamica demografica di ciascuno di essi ma anche la reciproca competizione, la plausibilità e rilevanza del messaggio propagato, la capacità di aggregazione del pubblico, e la forza di sopravvivenza di fronte ai tentativi più o meno espliciti di conquista e di sostituzione da parte di altri. In questo senso, la storia è la continua costituzione e successione di una molteplicità di progetti diversi.
Delle nazioni e religioni che esistevano 2500 anni fa, oggi rimane abbastanza poco. Il credo politeista greco-romano e quello istmico-americano sono scomparsi. Le due grandi correnti dominanti del Cristianesimo e dell’Islam sono sorte dopo. Delle grandi culture del passato restano una grande nazione-stato, la Cina, e una piccola minoranza, gli ebrei. Quante chiese sono sorte sulle fondamenta di antiche costruzioni pagane (incluso il Tempio di Giove a Roma) o di sinagoghe, e quante moschee sono cresciute sulle fondamenta di antiche chiese cristiane. I meccanismi del passato sono essenziali ma non sufficienti per capire il futuro. Proiezioni demografiche come quelle dell’Istituto Pew ci aiutano soprattutto a capire il presente, e le sue conseguenze si possono applicare al futuro nella misura in cui ciò che ci circonda oggi continuerà a seguire percorsi non immobili ma comunque delimitati dalle nostre attuali conoscenze. Riconosciamo che quello che non sapevamo in un certo momento è sempre stato decisivo nel plasmare le fasi successive della storia, e dunque i demografi non sono profeti.
Ma nel breve e medio termine le loro valutazioni – basate sull’osservazione delle nascite, dei decessi, delle migrazioni, con la decisiva mediazione della differente composizione per gruppi di età – sono dimostrabilmente accurate. Dopo due millenni di espansione del Cristianesimo come maggiore forza ispiratrice dei mutamenti politici e sociali globali, la demografia prospetta dunque una crescente influenza globale dell’Islam che nel 2050 sfiorerà la parità con la somma delle denominazioni cristiane, anche se non ancora il sorpasso che è previsto nel 2070. Cristianesimo e Buddismo dovranno anche affrontare un’erosione globale sul versante dell’indifferenza religiosa. Se le identità religiose e nazionali fossero semplici etichette intercambiabili, questi dati sarebbero semplici curiosità. Ma le differenze nell’etica e nella definizione della missione collettiva delle diverse fedi religiose permangono profonde, in una gamma fra pacifica introspezione e attiva sottomissione dell’ecumene.
Certo, sarebbe erroneo applicare le norme dichiarate di un collettivo a tutti i suoi membri: esiste sempre il libero arbitrio individuale. Ma i segnali di questi ultimi anni non sono rassicuranti. La tragica transumanza marittima di questi ultimi anni è un aspetto del disagio globale cui andiamo incontro. L’altro aspetto ancora più inquietante è la guerra di distruzione della storia e della cultura perpetrata dagli estremisti islamici che in questi giorni minacciano le antichità di Palmira. Questi drammi umani e questi delitti contro l’umanità richiamano a una riflessione responsabile sul rapporto fra religione e società civile e sugli interventi possibili per arginare le conseguenze meno desiderabili di una demografia che cambia la faccia del mondo.
In cosa possono consistere questi interventi? Innanzitutto, nel contesto di crescente multiculturalismo e transnazionalismo prodotto dalle migrazioni internazionali (che sono destinate a continuare), l’effetto reale delle attuali tendenze demografiche nel trasformare il peso delle diverse religioni nel mondo dipenderà da quanto si vorrà e si saprà applicare alla diversità delle idee e delle tradizioni il principio del vivi e lascia vivere. E questo non solo fra i vari stati ma sempre di più anche all’interno di ciascun paese. La riduzione delle differenze di posizione e di capacità di avanzamento fra i gruppi è una precondizione imperativa, anche se non sufficiente, perché le rivendicazioni sociali non offrano la base al separatismo e alla distruzione dell’ordine esistente sotto lo stendardo dell’ideologia. Poi, in una società in cui la longevità aumenta, l’unico meccanismo per rallentare l’invecchiamento e la stagnazione della popolazione è un più alto tasso di natalità. La perdita di quota relativa del mondo cristiano occidentale e anche buddista asiatico è la diretta conseguenza di oltre quarant’anni di scarsa natalità. Se nascessero più figli in media il processo di invecchiamento sarebbe attenuato, anche se gli effetti sarebbero visibili solamente quando i neonati raggiungono l’età adulta, ossia dopo alcuni decenni. Ma perché questo avvenga, è essenziale che si diffondano un maggiore ottimismo riguardo al futuro e una maggiore solidarietà sociale, e questo non può avvenire senza la convinzione da parte delle persone di star partecipando a un progetto collettivo valido e liberamente condiviso.
Questi sono argomenti da non dimenticare quando si riflette sul nuovo ruolo dell’ebraismo nella nuova Europa. Secondo Pew, il numero degli ebrei in Europa dovrebbe calare da 1,4 milioni nel 2010 a 1,2 milioni nel 2050. A monte dei numeri domina il dilemma se voler affermare se stessi, anche ostentatamente, o ripiegarsi di fronte ai nuovi equilibri demo-religiosi; cercare nuove alleanze adeguandosi al nuovo ordine, o combattere per conservare i fondamenti dell’ordine vigente; perseguire la via dell’integrazione nella società di maggioranza dei paesi di residenza, o valorizzare le proprie peculiarità culturali con una scelta transnazionale. C’è molto da discutere e da fare nella prospettiva di un’Europa che cambia ed è auspicabile che le comunità ebraiche sappiano individuare per tempo e accompagnare con fatti le scelte critiche che le attendono. La demografia intanto procede inesorabilmente di giorno e di notte.
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme
da Pagine Ebraiche, giugno 2015
(2 giugno 2015)