Periscopio – Il vento nero
La recente rottura, pubblica e privata, tra Jean Marie Le Pen, fondatore e a lungo leader del Front National francese, e sua figlia Marine, attuale Presidente del partito di estrema destra, suscita reazioni contrastanti.
Il quadro politico e familiare è noto. Jean Marie, in anni ormai lontani, fonda un movimento violento ed estremista, che fa appello ai vecchi umori razzisti, xenofobi e antisemiti annidati nella Francia ‘profonda’, precedentemente nascosti e repressi in nome del ‘politically correct’, da lui riesumati con un verbo sferzante e aggressivo, che permette ai tanti razzisti “in sonno” finalmente di rialzare la testa e di dichiararsi per quello che sono a piena voce e a fronte alta.
Il successo è travolgente, anche se gli altri partiti e il resto dell’opinione pubblica sembrano ergere intorno al Fronte una sorta di cordone sanitario, che tiene gli esponenti del partito – anche in forza del sistema elettorale francese, fortemente maggioritario – lontani dalle istituzioni e dalle stanze del potere.
A un certo punto il leader, ormai anziano, decide di cedere la guida del movimento alla figlia Marine, donna giovane, ambiziosa e determinata, dal fiuto politico non certo inferiore a quello paterno. Marine non si accontenta di guidare un pur forte e potente movimento di opposizione radicale antisistema, vuole di più, vuole uscire dal ghetto e capisce che, per conquistare il consenso di fasce sempre più larghe di francesi, non bisogna spaventare i benpensanti con frasi ‘hard’ e truculente. Passa quindi, dal linguaggio tenebroso e sinistro del padre (per il quale le camere a gas erano state un “semplice dettaglio della Seconda Guerra Mondiale”), a un’immagine diversa, più ‘soft’ e rassicurante, lasciando stare, come bersaglio, gli ebrei, per concentrasi su argomenti di più larga condivisione come la lotta contro gli extracomunitari, l’Islam e l’Europa.
Il bel volto sorridente della Signora Le Pen non allontana i consensi dell’ala ‘dura e pura’ dei seguaci, ma guadagna al movimento, di giorno in giorno, sempre nuovi consensi. Il cordone sanitario, in Francia e in Europa, comincia a sgretolarsi rapidamente, tanti importanti uomini politici fanno la fila per farsi un ‘selfie’ con la bionda leader.
Il vecchio leone, però, non ci sta a essere messo in soffitta, e continua a dire la sua. E, a proposito delle critiche del cantante ebreo Bruel, dichiara che lo considera parte di “un’infornata di cui ci occuperemo la prossima volta”. La figlia non ci sta a rovinare la nuova immagine presentabile e ripulita del partito, e prende le distanze con fermezza, ribadendo che il partito condanna ogni forma di antisemitismo e decidendo l’abolizione della carica di Presidente d’onore del partito, ricoperta da Jean Marie. La rottura, assicura, è definitiva, lei e suo padre non si parlano più e il genitore non potrà più parlare, a nessun titolo, a nome del movimento.
La vicenda, come ho detto, suscita reazioni contrastanti. Riguardo al vecchio leader, ovviamente, c’è poco da dire, la sua persona e le sue parole sollevano, da sempre, gli stessi sentimenti: disgusto, paura, ripugnanza. Chiunque contribuisca a denunciarne la macabra follia e a metterlo ai margini non può non essere apprezzato. Vale, questo principio, anche se a farlo è sua figlia, la sua erede politica, colei che sta trasformando il purissimo razzismo paterno in un innocuo liquore ‘a bassa gradazione alcolica’, adatto non solo a uomini rudi, ma anche a donne e bambini?
Confesso che ogni presa di posizione, al riguardo, mi pare inadeguata. Indipendentemente dalla buona fede della Signora Le Pen, e dalla fiducia che non defletterà da queste sue decisioni, è evidente che il giudizio di fondo sul suo partito non può cambiare. Il razzismo resta ovviamente razzismo, anche quando non appare più rivolto contro gli ebrei (ammesso, in questo caso, che sia davvero così).
Ma anche dire che tra padre e figlia non c’è nessuna differenza, che è tutto un trucco, ci pare sbagliato. Se uno condanna l’antisemitismo (in buona o cattiva fede) mi pare pericoloso rispondergli “zitto, lo so che è una finzione, e non me ne importa nulla di quello che dici”, soprattutto se ha milioni di seguaci. Ma chi, poi, tra padre e figlia, è da considerarsi davvero più pericoloso, per le sorti della democrazia liberale? Il padre, con le sue deliranti farneticazioni? O invece la figlia, capace, con la sua nuova veste perbene, di estendere i consensi e di entrare nei salotti buoni?
Non dispongo, ripeto, di risposte certe. Avverto solo un senso di profonda inquietudine per il vento nero (o nero-rosa) che spira per le campagne di Francia e, valicate le Alpi, anche nel nostro Paese.
Francesco Lucrezi, storico
(3 giugno 2015)