Qui Torino – Roma, luoghi di vita ebraica
Una ricostruzione degli spazi di vita dell’ebraismo romano. Le piazze, le vie, gli edifici in cui nel corso dei secoli gli ebrei della Capitale hanno costruito la propria Comunità. È quanto racconta nel suo Dentro e fuori dal ghetto. I luoghi della presenza ebraica a Roma tra XVI e XIX secolo, la studiosa Micol Ferrara, docente di storia degli ebrei in età moderna del diploma di laurea triennale UCEI. Il volume è stato presentato nelle scorse ore a Torino, presso il Museo Diffuso della Resistenza. Oltre all’autrice, diversi gli ospiti intervenuti, tra cui presidente della Comunità Ebraica di Torino Dario Disegni, per proporre una propria analisi dell’opera, facendone emergere i diversi livelli di lettura. A moderare l’incontro è stato Guido Vaglio, direttore del Museo.
La presentazione si è aperta con la proiezioni di un video che rappresenta una ricostruzione multimediale del ghetto che permette allo spettatore di compiere per pochi istanti un percorso virtuale tra le piazze e gli edifici racchiusi tra Via Fiumana e Via Rua. Il ghetto di Roma, istituito il 14 luglio del 1555, ha poi subito nell’arco di quattrocento anni modifiche ed espansioni: le due principali avvennero nel 1589 e poi nel 1825. Il presidente Disegni, citando la postfazione di Kenneth Stow, ha definito l’opera di Micol Ferrara “una svolta spaziale” perché fa riemergere una realtà sociale che non esiste più. A prendere poi la parola è stata Costanza Roggero, docente di storia dell’architettura presso il Politecnico di Torino, che ha messo in luce come il lavoro della Ferrara possa essere letto da un’angolatura diversa rispetto a quella propria dell’architetto: se ci si mette ad osservare la logica delle immagini, ci si accorge come dietro vi sia un interesse particolare della storia sociale, basato su una documentazione storiografica dinamica che non si limita a identificare i luoghi, ma cerca di ricostruire le relazioni che legano le diverse parti di una città nella città, come nel caso del ghetto. Per Roggero un altro elemento centrale per ricostruire la struttura del ghetto “sono le porte”, “elemento di diffrazione tra esterno e interno, che rappresentano la stessa idea di ghetto e di separatezza ed è per questo che vanno ritenute l’elemento nodale della ricostruzione”. “La storia – la conclusione dell’architetto – non si ricostruisce per immagini, ma attraverso la comprensione dei fenomeni: questo rappresenta lo sforzo dell’autrice”.
Ha scelto di aprire citando Città invisibili di Italo Calvino, lo storico Marco Brunazzi, vice presidente dell’Istituto di Studi Storici Gaetano Salvemini: “Le città sono invisibili, non perché non ci siano, ma perché nascondono sempre un qualcosa che ai nostri occhi sfugge sempre”. Questo il punto nodale per Brunazzi, secondo cui è necessario interrogarsi sul significato di questa dimensione invisibile delle città. La sua analisi si concentra sulle relazioni che legano la storia ai luoghi: “La storia non è soltanto quella dei grandi eventi, ma è anche la storia del quotidiano, del fluire minuto”. È proprio questo “fluire minuto” a rappresentare l’invisibile di Calvino. Poi si sofferma sul concetto tipicamente narrativo di ellissi temporale che contraddistingue le opere in medias res o lo stesso linguaggio cinematografico: in entrambi i casi c’è una parte, un passato sottinteso, senza il quale la vicenda non starebbe in piedi. Per lo storico, il lavoro di Ferrara prova a riempire quest’ellissi temporale.
Mauro Reginato, docente di demografia e statistica dell’Università di Torino, ha messo in luce come esistano due tipi di fonti: quelle di stato, come i censimenti e quelle di movimento, rappresentate dai libri di battesimo, di matrimonio e di sepoltura. Dalla sua analisi emerge come per i libri “cattolici” le fonti di stato accompagnano quelle di movimento, mentre nel caso di altre confessioni risulta molto più difficile risalire a osservazioni sullo stato della popolazione. A concludere la presentazione è stata l’autrice, ribadendo come sia la città stessa a porre delle domande a cui lei ha tentato di rispondere proprio attraverso la sua opera.
Alice Fubini
(5 giugno 2015)