Periscopio – Informazione
L’informazione ha il compito di informare e, da quando l’umanità ha scoperto il linguaggio, alcuni uomini, per vari motivi, si sono assunti il compito di dare notizia ad altri – vicini o lontani, contemporanei o delle generazioni future – di alcune vicende ritenute di interesse comune. Naturalmente anche l’informazione, come ogni attività umana, può e deve essere studiata, interpretata, raccontata. Il modo in cui si danno le notizie è anch’esso una notizia, che chiede di essere data e commentata, l’historia rerum gestarum fa anch’essa parte delle res gestae. Tito Livio racconta la storia di Roma, ma è anche un elemento della storia che contribuisce a costruire.
E’ normale ed è giusto, perciò, che molti nostri giornali, nel dare notizia dell’anniversario della strage di piazza Tien-An-Men, abbiano sentito l’esigenza di comunicare ai lettori, o agli ascoltatori, come nessun mezzo d’informazione, in tutta la Repubblica cinese – con l’unica eccezione della semi-indipendente Hong Kong -, abbia fatto la benché minima menzione alla ricorrenza. La notizia, in questo caso, è stata la ‘non notizia’, ossia la sottolineatura del fatto, indubbiamente di notevole interesse, che il regime cinese osserva la più stretta e rigorosa censura sull’informazione, e un miliardo e trecento milioni di persone sono tenute del tutto all’oscuro di qualcosa che pure dovrebbe riguardarli. Certamente, tutti i giovani cinesi, nati successivamente a quel tragico evento, non sanno neanche che, in quei giorni e in quel luogo, è accaduto qualcosa. Piazza Tien-An-Men è solo una piazza, là non è successo mai nulla. Una cosa molto triste, ed è giusto che la nostra stampa, che è libera, la segnali, per informare del fatto che, nel grande Paese asiatico, non esiste un’informazione libera e obiettiva.
Esiste un altro Paese, però, in cui accade, sistematicamente, qualcosa di simile, nel senso che l’informazione, su alcuni argomenti, viene data in un modo platealmente, capziosamente e volutamente distorto, senza che ciò venga però segnalato o stigmatizzato da alcuno. Lo scorso 3 giugno, per esempio, sono stati lanciati da Gaza tre razzi, intorno alle 23, nel sud di Israele, nella zona tra Netivot e Ashkelon. L’intenzione era, ovviamente, quella di uccidere dei civili, anche se, miracolosamente, non si sono registrate vittime. Dopo l’attacco, alcuni aerei israeliani si sono levati in volo per colpire gli obiettivi terroristici responsabili dell’azione. Ebbene, per quasi tutti i mezzi di informazione di questo sfortunato Paese (chiamiamolo Cina 2) la notizia è stata soltanto che, a un certo momento, alcuni aerei d’Israele hanno bombardato la striscia di Gaza, così, per abitudine, o forse per gioco, per esercitazione, vai a sapere. E si tratta di un manipolazione ricorrente quasi sempre nella cronaca di eventi del genere, che vede la sequenza ‘lancio di missili-bombardamento di risposta’ sistematicamente trasformata in semplice e unilaterale attacco aereo. Il ‘botta e risposta’ scompare, e resta la sola risposta.
Poveri cittadini di Cina 2, i cui cervelli si è deciso, in qualche oscura stanza di redazione, che debbano essere attentamente e scientificamente indottrinati in un certo modo, seguendo le direttive dal Minculpop di turno. La loro sorte mi sembra, per certi aspetti, addirittura peggiore di quella degli abitanti di Cina 1, perché ricevere un’informazione manipolata e distorta mi pare peggio che non riceverla affatto. Penso che essere tenuti del tutto all’oscuro su un delitto sia meno grave di apprendere – non per errore, ma per volontà – l’identità del responsabile e della vittima, ma inventate o capovolte.
Quello che mi pare certo, in ogni caso, è che i giornalisti di Cina 2 disonorano il loro mestiere molto più di quelli di Cina 1, che hanno almeno ‘ottima scusante di vivere sotto una dittatura. Quegli altri, sarei curioso di sapere quale scusante ritengano di potere addurre. Li pregherei comunque, nell’attesa che lo facciano, di evitare di stigmatizzare la deontologia professionale dei loro colleghi asiatici, a cui non hanno proprio niente da insegnare.
Francesco Lucrezi, storico
(10 giugno 2015)